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 2015  novembre 01 Domenica calendario

La guerra del miele che si combatte dentro la famiglia Ambrosoli

Ambrosoli contro Ambrosoli, l’amara guerra del miele si alza di livello. Non c’è più spazio per la diplomazia familiare. Dalle schermaglie nelle assemblee societarie si è passati alle aule del Tribunale di Milano, Sezione specializzata in materia di impresa. Ad essa si sono rivolti alcuni componenti della famiglia, ottenendo un primo importante punto a favore: un’ordinanza cautelare che, in attesa della fase di merito, costringe l’azienda a sospendere l’aumento di capitale varato a maggio. Ma al di là dei risvolti giudiziari, il solo fatto che la parola sia ormai affidata ai giudici fa capire quanto la rottura sia difficilmente sanabile. A portare l’azienda di Ronago (Como) in Tribunale sono stati Maria Pia (62 anni), Luca (53), Gianfranco (64) e Mario Ambrosoli (74) che rappresentano il 22% del capitale e contestano le scelte dei vertici.
La gestione della G.B. Ambrosoli è da diversi mesi sotto tiro anche per gli emolumenti ritenuti eccessivi (900.000 euro complessivi) dei due anziani Ambrosoli alla guida operativa: Alessandro (82 anni, uno dei figli del fondatore) e il cugino Giovanni 79 anni. La società, fondata da Giovanni Battista, è leader in Italia nella commercializzazione del miele e dei suoi derivati (caramelle e cera). I ricavi sono in leggero calo da alcuni anni (24,6 milioni nel 2014 contro 28,4 del 2012) con risultati in perdita, anche se modesta. Ma la struttura patrimoniale è solida e il debito ridotto all’osso.
Le prime crepe all’interno della famiglia (una ventina di Ambrosoli soci) si erano formate a fine 2014 a seguito del piano di rilancio che prevedeva anche un aumento di capitale, necessario – si diceva – per acquistare una grande quantità di miele di cui l’azienda era sprovvista. Il conflitto è emerso nelle assemblee del 2015 con il 15% che ha votato contro il bilancio e altre delibere. Poi la fronda è cresciuta. Dalle carte del Tribunale si scopre che ha raggiunto il 22% del capitale con un «appoggio esterno» di un altro 3-4%.
I quattro dissidenti hanno chiesto di bloccare le delibere di riduzione del capitale (annullamento azioni proprie) e di aumento (740mila euro). L’annullamento delle azioni proprie «avrebbe l’unico scopo – secondo i denuncianti – di pregiudicare gli interessi» dei soci di minoranza «a beneficio esclusivo ed egoistico dei soci di maggioranza». Mentre l’aumento di capitale è stato presentato «in assenza di qualsivoglia giustificazione». I soci di maggioranza riconducibili alle famiglie del presidente e dell’amministratore delegato, «starebbero utilizzando la società – è l’accusa – (…) per soddisfare l’esigenza di veder remunerati i propri esosi compensi». Accuse «infondate», secondo la G.B. Ambrosoli, sede in via Ambrosoli e difesa dall’avvocato Matteo Ambrosoli: nessuno viene avvantaggiato dalle operazioni deliberate e l’aumento di capitale è al servizio di un piano da 4 milioni di investimenti. Alla fine il giudice Alessandra Dal Moro ha valutato che ci fosse stata effettivamente «una asimmetria informativa rilevante a danno dei soci di minoranza». Il tutto in un quadro di «alta conflittualità» che risulta «esasperata» dai compensi «in effetti notevoli» dei vertici. E così il Tribunale ha sospeso la delibera di riduzione e poi aumento di capitale. Ma di sicuro non finisce qui.