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 2015  ottobre 13 Martedì calendario

Nixon, Bob Woodward colpisce ancora. Grazie a un carteggio inedito, il giornalista del Watergate è riuscito a delineare un ritratto ancora più fosco dell’ex presidente americano, «accidioso, diffidente di chiunque aveva attorno, sprezzante dei nemici e spietato nell’analisi del tornaconto politico». Pur ammettendo egli stesso l’inutilità dei raid aerei sui vietcong, li continuò solo per accattivarsi la popolarità degli americani

Un Richard Nixon accidioso, diffidente di chiunque aveva attorno, sprezzante dei nemici e spietato nell’analisi del tornaconto politico. Questa è l’immagine impietosa del 37mo presidente degli Stati Uniti che emerge dall’ultimo lavoro letterario di Bob Woodward, al tempo dei fatti un giovane giornalista d’inchiesta nell’ufficio centrale del Washington Post, che con il suo lavoro di ricerca affiancato da quello del collega Carl Bernstein espose crimini del primo cittadino americano, e contribuì alla sua caduta.
The Last of the President’s man (L’ultimo uomo del presidente) edito da Simon & Schuster, da oggi nelle librerie americane, è un libro che Woodward non aveva in programma di scrivere. Dopo aver pubblicato due anni fa le memorie di Mark Felt, la “gola profonda” dell’amministrazione Nixon, il veterano scrittore pensava di aver esaurito la saga dell’impeachment del presidente. Invece si è trovato davanti al carteggio custodito da Alexander Butterfield, e il suo fiuto da mastino delle inchieste è tornato ad insidiarlo, e a convincerlo all’ultima impresa.
COLONNELLO
Butterfield era un colonnello dell’esercito Usa di stanza in Australia quando Nixon fu eletto nel 1968. Il capo di gabinetto della nuova amministrazione H.R. Holdeman lo volle come suo vice, e in quella funzione Butterfield fu testimone diretto dell’ascesa e della caduta del presidente. Quando gli toccò sbaraccare dopo le dimissioni dell’amministrazione nel ’73, portò via casse di documenti sensibili, che oggi sono la base del libro di Woodward. Molte delle osservazioni generali del libro ripetono concetti già noti, come l’estrema solitudine di un uomo diffidente, che mangiava spesso da solo la sera alla Casa Bianca con indosso ancora gli abiti da lavoro, e che risiedeva in case separate dalla moglie Pat durante le vacanze estive a Key Biscayne. Alcuni dei dettagli epistolari sono invece inediti, e raccontano un Nixon spietato nell’analisi della guerra in Vietnam. Nel 1972 di fronte ad una campagna militare ormai moribonda, Nixon era cosciente dell’inutilità dei raid aerei che da dieci anni seminavano morte e distruzione, ma che non piegavano i vietcong. Lo scrisse lui stesso a margine di un rapporto segreto che rinviava al suo autore: Henry Kissinger: «C’è qualcosa di profondamente sbagliato nella strategia della nostra aviazione: da dieci anni abbiamo il controllo totale dei cieli su Laos e Vietnam e il risultato è uno zero assoluto». Questo era lo stesso Nixon che la sera prima in un’intervista televisiva con Dan Rather aveva ribadito l’importanza e l’efficacia dei raid aerei.
Infatti in quell’anno elettorale, gli Usa scaricarono sul Vietnam più di una tonnellata di bombe, e l’8 maggio del ’72 Nixon ordinò la devastante esplosione del porto di Haiphong sapendo che non avrebbe portato vantaggi militari, solo perché, come scriveva in un altro messaggio al suo fedele Kissinger: «Il 60% degli americani è a favore di questo attacco». Butterfield era ben consapevole delle idiosincrasie del presidente. Nel ’69 era toccato a lui il compito di “ripulire” l’ufficio esecutivo della Casa Bianca da tutte le foto di John Kennedy, che molti impiegati avevano affisso al muro. Nelle sue mani aveva tre liste di proscritti, nessuno dei quali poteva avvicinarsi alla Casa Bianca: i “nemici”, gli “oppositori”, e i “congelati”. Fu testimone infine dell’ultima proscrizione, quella dello stesso Nixon.