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 2015  ottobre 13 Martedì calendario

Salone del Libro nella bufera: intervista all’ex presidente Rolando Picchioni, indagato per false fatturazioni. I debiti, i visitatori, il Lingotto. «Quello che conta, alla fine, è che pubblico ed editori siano soddisfatti. Si vendono libri; la ricaduta sulla città, nei giorni del Salone, vale 52 milioni di euro secondo lo studio della Camera di Commercio del 2009»

Torino è come la divinità mitologica Kronos: divora i suoi figli”. La bufera politica, mediatica e in parte giudiziaria che si è abbattuta sul Salone internazionale del Libro, amareggia l’ex presidente Rolando Picchioni. Per 15 anni, dal 1999 al maggio scorso, assieme al direttore editoriale Ernesto Ferrero lo ha fatto crescere fino a consolidarlo come la fiera libraria più grande d’Europa dopo la Buchmesse di Francoforte. Ora, però, gli scontri interni ai nuovi vertici, culminati nelle dimissioni della direttrice Giulia Cogoli, e le inchieste della magistratura sullo stesso Picchioni (per presunte false fatture) e sui conti di Librolandia, rischiano di affossare tutto.
A Picchioni, che per la prima volta, dopo la sua uscita di scena, rilascia un’intervista, domandiamo intanto: che cosa sta succedendo? Si vuole fare morire il Salone?
C’è effettivamente un rischio di chiusura o di forte ridimensionamento. Non so se ci sia una regia occulta, che possa spiegare la mia vicenda giudiziaria, che peraltro mi sembra sempre di più inverosimile, e le polemiche sul numero dei biglietti d’ingresso del Salone e sul preteso passivo della Fondazione per il libro, che genera la manifestazione. Certo non lo posso escludere. In ogni caso quanto accade è l’assurda ricerca di un capro espiatorio.
Si dice che la Fondazione per il libro, la musica e la cultura abbia accumulato un deficit di circa 5 milioni di euro.
Sono cifre che non stanno né in cielo né in terra. Se si chiudesse la Fondazione nel dicembre di quest’anno, il passivo sarebbe di poco meno di 500 mila euro: esattamente 489 mila e 167 euro. Chi chiama in causa i 5 milioni, dati dai debiti verso banche e fornitori, non considera l’attivo: più di 2,7 milioni di crediti e le cosiddette immobilizzazioni, cioè il valore del marchio e degli allestimenti posseduti dalla Fondazione, che ammontano a oltre 2,5 milioni. E su questo, comunque, è in corso una due diligence che farà chiarezza.
Si contesta pure il numero dei biglietti di Librolandia. Come spiega la sproporzione notevole tra le presenze accertate del pubblico e il numero dei visitatori, invece, comunicato alla chiusura della fiera?
Le differenze fra il numero dei biglietti emessi e il numero totale dei passaggi ai tornelli d’ingresso, in sostanza, deriva da una metodologia generalmente praticata da tutte le grandi manifestazioni fieristiche, e condivisa tra ente promotore e partner commerciale. Il numero totale dei passaggi ai tornelli, registrati con le pistole elettroniche, corrisponde alla somma dei titolari di ingresso singolo, biglietti omaggio, abbonamenti professionali per i cinque giorni della manifestazione, passaggi multipli di possessori di titolo d’ingresso, tessere pass per espositori, il Salone Off e così via. Quello che conta, alla fine, è che pubblico e editori siano soddisfatti. Si vendono libri; la ricaduta sulla città, nei giorni del Salone, vale 52 milioni di euro secondo lo studio della Camera di Commercio del 2009.
A pesare sui conti del Salone c’è il costo dell’affitto del Lingotto, da versare alla società francese Gl Events, che è la proprietaria del complesso fieristico ricavato dall’ex stabilimento Fiat.
Basti dire che chi vincerà il bando di assegnazione della gestione commerciale del Salone dovrà versare 1,2 milioni per uno spazio di 40 mila metri quadrati, mentre il Salone del Gusto sborsa un milione per averne 60 mila, comprensivi della struttura dell’Oval, non utilizzata dal Salone.
Si potrebbe, allora, individuare una sede alternativa. Qualche passo era stato compiuto, no?
Sì. Ma scoppiò un mezzo finimondo, nell’universo politico-istituzionale, soltanto perché io e Ferrero, invitati, eravamo andati a visitare il Palalpitour. Anche qui bisogna che le istituzioni torinesi e piemontesi dicano con chiarezza che se si vuole privilegiare, a ogni costo, il complesso fieristico del Lingotto, allora devono dare alla Fondazione i mezzi necessari per gli affitti più onerosi.
Secondo lei, è casuale il fatto che la tempesta sulla kermesse del libro sia scoppiata poco dopo le accuse formulate dalla magistratura torinese nei suoi confronti?
Non lo so. Posso solo dire che chi mi accusa è una persona notoriamente poco affidabile: un pregiudicato condannato con sentenza definitiva. A ogni modo, ho fiducia: la magistratura chiarirà tutto.
Quando qualche mese fa lei ha lasciato la presidenza per la scadenza del mandato, le istituzioni pubbliche le hanno riconosciuto di avere fatto un ottimo lavoro?
Ho visto Sergio Chiamparino, il presidente della Regione Piemonte, che ha avuto parole gentili di circostanza. Per il resto, solo silenzi tombali.
Due manifestazioni torinesi di qualità, internazionali, come il Salone e MITO-Settembre Musica, potrebbero essere ridotte nei programmi e nelle ambizioni. Un cupio dissolvi subalpino?
C’entra un po’ di provincialismo, un po’ di Strapaese; e prevale, a Torino, quella cultura che tende a fare sì che qui debba esistere un solo giornale, un solo partito, una sola azienda, una sola squadra di calcio e via di questo passo. Poi ci metterei una malattia che chiamo “assessorite”, fatta di gelosia e di altre cose.