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 2015  ottobre 13 Martedì calendario

Storia di “The Lobster”, il film in cui è proibito essere single e se si scappa nella foresta si trova una comunità che vieta di innamorarsi

Essere single è il peggiore dei crimini, la pena prevista dalle leggi della Città prevede la reclusione in un albergo-prigione dove gli ospiti hanno 45 giorni di tempo per trovare l’anima gemella. Se non ci riescono verranno trasformati in un animale (la scelta è libera e personalissima) e poi liberati nei Boschi. Dove si annida, però, un altro terribile pericolo, è cioè le bande dei Solitari, fuggiti dall’hotel, e decisi a vivere secondo la norma ferrea del non innamorarsi mai, di nessuno.
Dopo il premio della Giuria al Festival di Cannes, arriva nelle sale (il 15 con Good Films) The Lobster, metafora ironica e malinconica di una società dominata dalla necessità delle regole. Ogni interpretazione è permessa, anzi, è esattamente il gioco che il film propone allo spettatore, un esercizio di fantasia che fa pensare alle nostre vite: «Tutti sono liberi di vederlo nel modo che preferiscono – dice il talentuoso regista greco Yorgos Lanthimos -, volevo proprio che la storia spingesse il pubblico a porsi domande, e a riflettere sulle proprie situazioni personali».
Il fatto che Lanthimos sia nato ad Atene scatena inevitabili supposizioni: «Intenzioni politiche? Non ne avevo, appena la gente sente che sono greco mi fa domande di questo tipo, comunque è evidente che il film parla di persone che si ribellano a certi diktat e creano gruppi di resistenza».
In prima fila, tra le rivoluzionarie, c’è Rachel Weisz, la Donna miope, colpevole di provare sentimenti nei confronti del protagonista David (Colin Farrell): «Credo che The Lobster ci spinga a ragionare sul fatto che viviamo tutti irregimentati, un po’ come un gregge di pecore, e che cercare di sottrarsi a questo meccanismo è molto complicato. Il film parla di conformismo, e del lavaggio del cervello a cui siamo spesso sottoposti».
Reduce dall’esperienza con Paolo Sorrentino nella Giovinezza, Weisz, che nel film perde progressivamente la vista («Una prova stancante, ha richiesto molta concentrazione»), dice di aver visto The Lobster due volte e di averlo amato sempre di più: «L’ho girato perché volevo entrare nell’universo di un autore geniale come Lanthimos».
Una fascinazione che ha coinvolto anche Colin Farrell, completamente irriconoscibile nel look timido e triste di David: «La trasformazione mi ha aiutato a calarmi nel ruolo, cambiare ti offre la possibilità di esplorare luoghi sconosciuti, ed è esattamente quello che mi piace». Recitare senza rete, facendo a meno di qualunque informazione sul personaggio, è stata una sfida «liberatoria. Sono arrivato sul set sapendo ben poco di quello che andavo a fare, ma non è stato difficile. Lanthimos ci ha chiesto di essere molto presenti, facendo il meno possibile».
Secondo Farrell The Lobster «dice molte cose sulla solitudine, sul mistero dell’innamoramento, soprattutto sul fatto che i dogmi, di qualunque tipo, sono insopportabili». Per Farrell, chiuso il capitolo della vita spericolata, archiviata la fama di ragazzo terribile, un irlandese sciupafemmine sempre pronto a litigare, questo film è il segno di un nuovo inizio: «La mia carriera è sempre andata avanti così, un po’ a zig zag, tra alti e bassi. Sicuramente, rispetto al passato, posso dire che oggi mi diverto molto di più perchè mi preoccupo meno dell’impatto che questo lavoro può avere sulla mia esistenza».
Anche la fama, con cui in passato aveva fatto a pugni, è diventata meno oppressiva, più sopportabile: «Mi è successo di odiare la celebrità, ma anche di amarla. Adesso ho capito che l’importante è gestire questo aspetto del mestiere e che sono stato stra-fortunato».