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 2015  ottobre 13 Martedì calendario

Parla il premio Nobel Angus Deaton. «Il rallentamento nella crescita dei paesi ricchi è un pericolo gravissimo»

«Il rallentamento della crescita economica nel mondo ricco, a partire dall’Europa anche prima della crisi finanziaria, è una delle minacce più gravi che abbiamo davanti». È l’allarme che lancia il professore della Princeton University Angus Deaton, poco dopo aver ricevuto il premio Nobel per l’economia. Deaton parla via streaming dall’auditorium della sua università, e la prima domanda a cui risponde è quella che gli abbiamo inviato noi via mail. Di recente lei ha detto: «Il mio messaggio generale, le mie misurazioni, tendono a mostrare che le cose stanno migliorando, ma c’è ancora molto lavoro da fare».
Questo miglioramento è vero anche per l’Europa, e qual è il lavoro che il Vecchio continente deve ancora fare per ottenere una crescita economica più forte?
«È vero che ho passato parecchio tempo a dimostrare come il mondo stia diventando un luogo migliore. Durante gli ultimi 250 anni l’umanità si è trasformata dall’essere una entità vicina alla povertà estrema, a una società dove molti di noi vivono vite più ricche e possono esprimere al meglio i propri talenti e le proprie capacità. Però enfatizzo anche che c’è ancora molto da fare. La Banca mondiale ha annunciato pochi giorni fa gli ultimi dati economici, e la povertà è scesa ormai al 10% della popolazione globale. Ciò è magnifico, ma ci sono ancora 700 milioni di persone che vivono in questa condizione, e il loro stato ha serie conseguenze per ognuno di noi. Ci sono minacce, e una delle più gravi per tutti è il rallentamento della crescita economica nel mondo ricco, decennio dopo decennio, anche prima della crisi finanziaria del 2008. Questa crisi però ha reso la situazione ancora più dura».
Perché?
«Il rallentamento rende tutto più difficile, complica le scelte della politica, abbassa la qualità della vita delle persone, soprattutto per la gente in fondo alla scala sociale. Se sommi questo fatto alla crescente diseguaglianza, ti rendi conto che molta gente nel mondo ricco sta soffrendo. Le loro vite peggiorano, e parecchi vedono il peggioramento come una conseguenza delle buone cose che invece stanno accadendo nel resto del mondo. Questo è un sentimento davvero difficile da affrontare».
Come mai fatichiamo a capirlo?
«I dati che esistono, ma molti non vogliono vederli o svilupparli, perché vanno contro i loro interessi».
Lei è cresciuto in condizioni economiche difficili: quanto l’ha influenzata questo fatto nella scelta dei temi da studiare?
«Ho avuto pochi soldi almeno fino a quando ho fatto il dottorato. Non dico che essere povero aiuta, però ti dà una prospettiva più chiara del mondo. Ho capito soprattutto quanto conta la fortuna: se mio padre non si fosse ammalato di tubercolosi durante la Seconda Guerra Mondiale, io non sarei neanche nato, perché lui sarebbe morto in un’operazione militare a cui era stato destinato dove tutti i soldati persero la vita. Poi fu lui, minatore del carbone, a spingermi verso l’accademia».
A cosa si sta dedicando ora?
«Studio soprattutto l’impressionante aumento della mortalità fra gli americani di mezza età. Persone che si tolgono la vita, o muoiono di overdose. Ritengo che la diseguaglianza sia una delle minacce più gravi della nostra società, perché influenza tutto. Ha un effetto sulla politica, ma anche sulle scelte riguardo i cambiamenti climatici, che molti rifiutano di affrontare perché vanno contro i loro interessi. Temo un mondo dove i ricchi fanno le regole, e gli altri devono obbedire. C’è molta gente che sta soffrendo, a causa della globalizzazione. Persone di mezza età, istruite e non, che vedono svanire le promesse di benessere con cui erano cresciute e crollare i loro redditi. Sono le persone che muoiono di overdose o si suicidano, e stanno cambiando l’intero profilo della mortalità negli Stati Uniti. Non dico che tutto questo sia provocato in maniera diretta dalla diseguaglianza, ma certamente l’estrema diseguaglianza sta peggiorando le cose, creando questa emergenza che ora studio».