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 2015  ottobre 13 Martedì calendario

La trilogia ciceroniana di Robert Harris

Esce in tutto il mondo “Dictator” ultimo volume della trilogia su Cicerone. L’autore, Robert Harris, ex giornalista politico della Bbc divenuto scrittore di grandissimo successo, ci accompagna per l’occasione in una passeggiata per luoghi ciceroniani. La prima tappa è un muro, nascosto nel giardino di una casa privata. Quello che resta della villa dove il più celebre degli oratori ha vissuto a lungo. Da qui ha scritto molte lettere all’amico Attico: «Sono servite come fonti per il mio lavoro», spiega Harris. «Ho impiegato dodici anni per concludere la trilogia, e i primi due solo per raccogliere documenti». Racconta del suo metodo di lavoro e dei confini morali di uno scrittore: «Come giornalista so di non dover mai scrivere una cosa che sia evidentemente falsa. Ma sono un romanziere, e ho anche il dovere di inventare: le conversazioni, le motivazioni politiche, certi piccoli segreti della vita privata delle persone. Devo fare ipotesi, speculare. E soprattutto tagliare, tralasciare, eliminare. Lì, nel montaggio, si stabilisce il confine tra realtà e finzione. La diversa velocità nel dipanarsi degli eventi, la progressione, l’incalzare. Si può dire che il mio lavoro consiste nel fare tutto ciò che è vietato agli storici e gli studiosi». La trilogia, nella finzione letteraria, ricalca una biografia di Cicerone scritta da Tirone, schiavo, segretario, e infine appunto di lui biografo, che nella realtà è andata perduta: «Tirone non avrebbe mai scritto un libro come questo. Il mio è decisamente un libro del XXI secolo, che tiene conto di Freud, della nostra storia di quello che abbiamo visto accadere». La nostra seconda stazione è una cisterna. Camminiamo su un corridoio di legno sospeso sopra l’acqua: «Credo sia sbagliato – spiega Harris – pensare che la fiction storica sia una fuga dalla realtà contemporanea. Ho sempre affrontato la narrazione come se stessi parlando del presente. Qualche anno fa, a Pompei, sono rimasto colpito dall’abilità, l’intelligenza tecnologica degli acquedotti romani. L’uso dell’acqua mi ha fatto riflettere sulla raffinatezza di quella civiltà, l’amore per il lusso. E attraverso tutto questo sono arrivato a Cicerone». Harris è autore di romanzi come Enigma, Ghostwriter, L’ufficiale e la spia, che ha per tema l’Affare Dreyfus. La politica e la storia sono lo sfondo di tutte le storie che racconta. La politica, la più nobile delle vocazioni, dice Cicerone. «Vede, io sono stato un giornalista politico, affascinato dai meccanismi del potere. E la Roma classica è la culla della politica, il luogo dove la politica moderna è iniziata. Senato, campagne elettorali, tribunali. C’è una riconoscibilità delle istituzioni e quindi dei simboli. Potrebbe essere l’Italia, Londra, Washington nello stesso modo». «Quando gli dei non esistevano più e il Cristo non esisteva ancora, c’è stato, a partire da Cicerone e fino a Marco Aurelio, un momento unico in cui è esistito soltanto l’uomo. In nessun altro momento trovo quella particolare grandezza», dice Flaubert in una lettera messa in epigrafe al libro di Harris: «Il fatto che Cicerone – racconta lui – fosse stato obbligato a ritirarsi dalla politica e a darsi alla filosofia alla fine della sua vita mi sembrava un argomento davvero difficile da affrontare, per me come scrittore e soprattutto per il pubblico. Ma come spesso accade quando tu pensi una cosa succede il contrario. Alla fine la filosofia è diventata addirittura la chiave della trilogia. Cicerone aveva moltissime paure: non è mai entrato nell’esercito, temeva i viaggi per mare, non frequentava neanche i ludes, per paura. Vedeva pericoli dappertutto e ha usato la filosofia come strumento per riuscire a sgominarli. Per lui è stata un’enorme vittoria, paragonabile a quella ottenuta da Cesare in Gallia. Io spero che questo sia comprensibile a chi legge il libro. L’ultima battuta, “tutto ciò che resta di noi è quello che è stato scritto”, è la più importante. Da queste parole è nato l’Occidente, il Rinascimento e la modernità per come noi la conosciamo». Cicerone dunque era un intellettuale prestato alla politica. Una categoria che si è estinta: «È vero, i nostri politici non sono più intellettuali, ma degli amministratori. Mancano i grandi discorsi, i valori, gli ideali. La politica è diventata noiosa, e non è più attraente per una persona intelligente. Ma io, che sono comunque innamorato della politica, credo che riuscirà ad attrarre di nuovo le persone. Deve farlo. Nella situazione attuale, con problemi giganteschi e inediti, c’è bisogno di intelligenza, eloquenza, di prendere in mano le redini. Che venga un uomo, o una donna, dovrà avere il fuoco, che possa alimentare intellettualmente questo dibattito. Dopo trent’anni di guerra economica, ci troviamo di fronte di nuovo a problemi etici molto seri. Perché, attenzione: quando la politica perde terreno, arrivano i demagoghi». La fede nella ragione, l’Illuminismo, il logos. Qualcosa che, di nuovo in questo nostro tempo, rischia di essere travolto: «Credo che se Cicerone vivesse oggi, sarebbe molto sorpreso dalla durezza e l’irrazionalità della società odierna. Rispetto all’Is, per esempio, credo che avrebbe pensato beh, questa è una battaglia che vale la pensa di combattere. Sono in discussione tutti i valori che lui sosteneva e cercava di infondere nella gente. Non è un caso che siano state fatte esplodere le vestigia della società romana a Palmira. È in atto una lotta tra la civiltà che si è sviluppata a partire dalla Roma antica e l’anti-razionalismo di certo fondamentalismo religioso islamico. Credo che ci sia molto bisogno di studiare e sostenere i valori di Cicerone, oggi più che mai, anche dal punto di vista politico». L’ultimo posto che visitiamo in questa camminata è la tomba di Cicerone. Nel 43 a.C. fu ucciso da un sicario di Marco Antonio, poco lontano dal luogo dove adesso è sepolto. Noi siamo ossessionati dalla perdita della memoria, siamo certi di essere vicini a un’apocalisse dell’intelligenza verticale, stratificata. Che internet sia la nostra memoria artificiale, che finiremo per depositare lì tutti i nostri dati. Questo, forse, ci impedisce una morbidezza nell’accoglienza di culture diverse, una morbidezza che, forse, è stata la fortuna dell’impero romano? «Ma anche i romani erano attentissimi alla storia, e avevano il culto degli antenati. Davano molto importanza ai padri e ai nonni, ai Lari e Penati. Ma se noi non permetteremo ai nostri figli di crescere con delle prospettive per il futuro, il passato sarà una maledizione. Ed è vero che uno dei pilastri della società romana è stata l’ambizione degli immigrati. Così come è accaduto negli Stati Uniti. Roma e gli Usa sono paesi costruiti su un corpus di leggi che, almeno sulla carta, garantisce a tutti gli stessi diritti. Cesare dette ai Galli e agli Spagnoli la possibilità di diventare senatori. L’Europa non dovrà dimenticare che gli uomini che hanno rischiato tutto per venire qui, sono una risorsa. Altrimenti rischia di rimanere indietro».