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 2015  ottobre 13 Martedì calendario

Aggiornamento di Rampini sulle ricerche intorno all’intelligenza artificiale, dopo il successo delle torri di controllo senza esseri umani

NEW YORK.
Qui torre di controllo”… ma all’interno non ci sono esseri umani. Così la notizia annunciata dal sito di Repubblica. Pochi mesi fa è stata infatti inaugurata, all’aeroporto di Ornskoldsvik in Svezia, la prima torre di controllo completamente automatizzata, in grado di gestire il traffico aeroportuale senza che sia presente alcun essere umano al suo interno. Un sistema che sembra funzionare tanto da essere replicato anche allo scalo Leesburg Executive in Virginia, qui negli Stati Uniti. Altre sperimentazioni sono in corso sempre in Svezia, in Norvegia, in Australia. Per ora si dice che gli umani esercitino un controllo di ultima istanza… da una distanza remota; ma è solo questione di tempo prima che la loro (nostra) presenza diventi superflua anche in questo campo?
L’Intelligenza artificiale (abbreviata, dall’inglese, in A.I.) sta facendo passi da gigante. È rassicurante, perché in molti settori i computer sono più affidabili: una prova è proprio il progresso nella sicurezza dei voli. È inquietante: perché molte professioni intellettuali arretrano davanti all’avanzata di macchine che sostituiscono la manodopera umana. Ne ho raccontato su queste colonne intervistando gli scienziati di biogenetica al lavoro nelle università californiane di Berkeley, Santa Cruz, Stanford e San Francisco. Alcune interviste di quegli scienziati sono consultabili, in versione lunga, nel mio libro “L’Età del Caos”. Ora The Washington Post intervista uno dei massimi finanziatori di questi progetti: Paul Allen, che fu il co-fondatore di Microsoft insieme a Bill Gates. Oggi 62enne, e proprietario di un patrimonio da 18 miliardi di dollari, Allen ne investe una parte per creare il robo- cervello perfetto. Prima tappa: un computer in grado di passare l’esame di maturità. Cioè, non “un” esame di maturità, ma “qualsiasi” esame di maturità. Quindi un computer che sappia ragionare con la stessa flessibilità della mente umana; non solo immagazzinando conoscenze (un lavoro di memorizzazione nel quale è già superiore a noi) ma anche padroneggiando quelle indecifrabili doti che chiamiamo buonsenso, intuizione. Al termine, il balzo in avanti più impressionante sarebbe l’A.I. capace di apprendere da sé, non solo di utilizzare al meglio le conoscenze che gli sono state impartite dai suoi programmatori. L’altro filone di ricerca finanziato da Allen è biogenetico: questo cioè parte dal cervello umano per smontare una per una le sue componenti e le sue regole di funzionamento. “Reverse engineering” della mente umana, proprio come si fa quando si smontano le macchine per poi imparare a rimontarle così com’erano. «Immaginatevi – ha detto Allen nell’intervista al Washington Post – di replicare tutte le cose meravigliose che sa fare un cervello umano, partendo da zero, come da un foglio bianco». Allen ha messo insieme due squadre di scienziati per i suoi due progetti. Quella che costruisce il computer super-intelligente è guidata da Oren Etzioni della University of Washington. Quella che fa il percorso inverso e simmetrico, cioè smonta il cervello umano per imparare a copiarlo, è guidata dal neuroscienziato Christof Koch del Politecnico californiano Caltech. Le due strade possono incrociarsi, ricongiungersi, o risultare alternative. Il paragone che fanno con questi scienziati è con l’epoca pionieristica dell’aviazione, quando si potevano imboccare due percorsi: tentare di smontare e rimontare i meccanismi che consentono agli uccelli di volare; oppure partire dalla teoria fisica aerodinamica e costruire delle macchine mai viste prima come fecero i fratelli Wright.
Le potenzialità dell’A.I. sono già state sperimentate in alcuni casi celebri. Negli scacchi, per esempio, ormai nessun campione umano riesce a battere i super- computer. Nella diagnostica medica, il progetto Watson dell’Ibm viene ormai usato (spesso in gran segreto) da molti ospedali americani. E tuttavia un conto sono delle mansioni altamente specialistiche, altra cosa è la versatilità dell’intelligenza umana. Un computer super- intelligente, come spiegano gli scienziati di Allen sul Washington Post, non raggiunge il quoziente d’intelligenza di un bambino di quattro anni, almeno se misurato con i test abituali. Il computer Aristo (cioè Aristotele), creato dalle équipe di scienziati di Allen, è stato messo alla prova negli esami di biologia alle scuole medie e nella secondaria superiore. Ha superato gli esami dei primi tre anni, peraltro con voti appena sopra la sufficienza. Ma non è ancora in grado di competere con i liceali nel quarto anno di biologia. E soprattutto, come sa ogni possessore un “assistente personale” sul proprio smartphone, un computer può sapere tante cose più di noi, ma per ora viene messo in crisi dalla domanda più frequente in bocca a un bambino: “Perché”?