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 2015  ottobre 13 Martedì calendario

Giallo per una lettera di critiche al Papa, relative al Sinodo sulla famiglia, pubblicata sul blog del vaticanista Sandro Magister

CITTÀ DEL VATICANO.
Ora è acclarato. Esiste un’ala rigorista del Sinodo che non si fida dei suoi metodi di lavoro e che, in ultima analisi, non si fida di Francesco. Lo ritiene inadeguato a garantire la necessaria trasparenza dei lavori, come se egli stesso fosse succube di chi, l’ala progressista, lavorerebbe nell’ombra per tradire lo spirito del Vangelo e quindi spingere l’intera assise a concedere l’eucaristia ai divorziati-risposati insieme a tutta una serie di altre aperture giudicate pericolose. È evidente che questa ala non è disposta a stare ferma. E anzi, se necessario, si adopera con i media per creare scompiglio, pressare i padri sinodali, costringere tutti a tralasciare gli avvenimenti del Sinodo reale per dedicarsi invece a un Sinodo parallelo: «Cosa ci offrirà domani il Sinodo mediatico?», si è non a caso chiesto il sito d’informazione vicino alla Santa Sede “Il Sismografo”. Che si è risposto: «Non lo sappiamo e per ora dobbiamo solo attendere. Sappiamo sì, e come!, cosa ci ha offerto oggi e certamente si è trattato di uno spettacolo deprimente e imbarazzante». Parole che mostrano come in Vaticano, più che l’esistenza della lettera e la sua consegna al Papa, sia la pubblicazione di essa ad essere vista come un attacco al Papa, un tentativo di manipolare i lavori.
Uscendo ieri sera dall’aula sinodale molti padri erano sconcertati. Lo stesso cardinale Piacenza, che si è visto tirato in mezzo a sua insaputa assieme a Scola, Vingt-Trois, ed Erdö, si diceva allibito. Scola da parte sua chiariva come dentro il Sinodo reale i lavori procedessero in comunione di spirito, mentre Erdö, attraverso una nota del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, smentiva di aver «visto né tantomeno firmato tale lettera».
Chi ha consegnato la lettera al Papa una settimana fa è stato il cardinale australiano George Pell, prefetto per l’Economia. Pell ha smentito che il contenuto della lettera sia quello pubblicato da Magister (così anche il cardinale Napier), ma nello stesso tempo non ha negato di aver scritto al Papa una missiva inerente le procedure del Sinodo. Il porporato più volte ha spiegato che la disciplina che vieta la comunione ai divorziati risposati non si può cambiare. Insieme con lui, anche il cardinale tedesco Gerhard L. Müller, prefetto della congregazione per la dottrina della fede, che nelle scorse settimane ha detto che «si dovrebbe essere molto vigili e non dimenticare la lezione della storia della Chiesa », perché è sulla questione della presunta separazione tra dottrina e pastorale che si è articolata la rivoluzione protestante del 1517. Cioè uno scisma. Toni perentori, allarmati. Parole che mostrano un giudizio negativo nei confronti del mondo e delle sue sfide. In ultima analisi, è l’idea più volte esplicitata che la Chiesa ha nel mondo secolarizzato il suo nemico. Essa, la secolarizzazione, più che un’opportunità sulla quale lavorare, è un qualcosa da abbattere. Una posizione lontana da chi, anche nel Sinodo, ritiene che i due poli, cambiare tutto o non cambiare nulla, non sono un’opzione: perché in un mondo che cambia, la Chiesa deve trovare nuove vie, senza tradire sé stessa e senza rimanere paralizzata dalla paura.
L’impressione è che un anno fa l’ala rigorista non era affatto preparata a un Sinodo che in scia a Francesco accettasse la sfida di trovare nuove strade pastorali senza predeterminare i lavori con posizioni precostituite. Terminata la prima sessione, questa ala è apparsa farsi più guardinga. E soprattutto preparare, anche con libri e uscite mirate, il campo a un Sinodo nel quale non correre il rischio di vedere le proprie convinzioni infrangersi. Francesco, intervenendo direttamente in aula, ha provato a bloccare le cospirazioni, ha precisato che la comunione ai divorziati risposati non è «l’unico tema» delle discussioni e che, ad ogni modo, «la dottrina sul matrimonio non è mai stata messa in discussione ». Il direttore de La Civiltà Cattolica , padre Antonio Spadaro, ha detto anche che Francesco ha invitato i padri sinodali a non cadere nella «ermeneutica cospirativa». Ma, evidentemente, l’intervento papale è servito a poco. Una settimana dopo le sue parole, infatti, tutto è come prima: il Sinodo secondo l’ala rigorista è manipolato. E occorre che l’attenzione dei media non si discosti da tutto ciò.
Paolo Rodari

Approfondimenti di Agostino Giovagnoli
Il sinodo si è aperto uno scontro che riguarda anzitutto le procedure. Come già avvenne al Vaticano. Ma allora fu la maggioranza a chiedere che la spinta del rinnovamento potesse esprimersi pienamente nell’assemblea conciliare. Oggi, invece, non è così: si tratta di un gruppo che cerca di frenare le sollecitazioni di una “Chiesa in uscita”. Tredici cardinali — ma c’è una certa confusione: quattro, ad esempio, hanno smentito di averla firmata — hanno scritto una lettera “privata” al papa, contestando in particolare la novità di una commissione incaricata di redigere il testo finale non eletta dal Sinodo ma formata dal papa. La discussione sulle procedure, ovviamente, è funzionale alla battaglia sui contenuti. E i firmatari saldano il «timore che le nuove procedure» siano state configurate «per facilitare dei risultati predeterminati» al rischio di un “collasso” della Chiesa cattolica simile a quello delle Chiese protestanti liberali per l’abbandono di «elementi chiave della fede e della pratica cristiana in nome dell’adattamento pastorale». Ma i rilievi procedurali sono sbagliati: anche nei Sinodi precedenti la relatio finalis è stata redatta da una commissione di nomina papale. Non c’è stata, dunque, una novità ad hoc per pilotare un Sinodo che peraltro Francesco ha sempre detto di volere aperto alla discussione e ispirato dalla parresia. E il papa — che probabilmente ha ricevuto la lettera da alcuni giorni — ha già risposto invitando ad abbandonare una «ermeneutica cospirativa » e ricordando che i principi della dottrina non sono mai stati messi in discussione.
La lettera è l’ultima espressione, in ordine di tempo, dell’attivismo di un gruppo in cerca di visibilità, con ostentate convergenze su tematiche, obiettivi, strategie comuni da parte di padri sinodali, sostenuti all’esterno da pubblicazioni, mass media, blog online. Questo gruppo non ha incontrato finora forti ostacoli o accese reazioni. Non sono ancora emersi, infatti, grandi dibattiti, tesi forti, leader autorevoli come quelli intorno a cui si è formata la maggioranza che ha plasmato il Vaticano II. Ma anche in questo Sinodo molti vescovi sono in sintonia con papa Francesco. Ciò che manca è piuttosto un comune background culturale come quello, prevalentemente europeo, che aiutò allora la maggioranza conciliare a ritrovarsi intorno a scelte condivise. È una difficoltà che, per certi aspetti, indica un progresso: è il segno, infatti, che oggi la Chiesa cattolica è meno eurocentrica e più globale di cinquant’anni fa, è cioè più universale (che è poi il vero significato della parola “cattolico”).
Tra le voci di chi ha aperto lo scontro c’è anche quella di alcuni vescovi africani — ma non tutti — tra i più espliciti nel ridimensionare le sfide poste alla famiglia dalla società contemporanea. Se i problemi non sono così gravi, infatti, non è neanche prioritario curare le ferite, cercare i rimedi, operare con misericordia. A chi si trova in difficoltà nell’applicare i principi proposti alla Chiesa, si può così rispondere più facilmente che non si tratta di difficoltà bensì di colpa. Ma negare o sottovalutare i problemi non è mai una scelta lungimirante. Lo confermano proprio le difficoltà della Chiesa in Africa sul terreno della famiglia e della sessualità. In molte realtà africane la poligamia continua ad esercitare una forza attrattiva anche sui cattolici e per diversi sacerdoti è difficile vivere il celibato. Sono problemi che si intrecciano con un riconoscimento della dignità e libertà delle donne minore rispetto al mondo euro- occidentale dove nei secoli il cristianesimo è penetrato più in profondità.
Ovviamente, non è colpa dei vescovi se le cose stanno così. È il risultato della pressione — culturale, antropologica, politica — che le società africane esercitano sulle Chiese cristiane. In questo continente, il cristianesimo si è diffuso in modo consistente solo nel corso dell’ultimo secolo e non ha ancora potuto interagire in modo incisivo con la cultura in cui è immerso. In futuro, la Chiesa africana avrà sicuramente un ruolo rilevante sia all’interno del continente sia in tutto il mondo cattolico. Ma per affrontare i suoi problemi anche questa Chiesa ha grande bisogno dell’approccio pastorale — prudente e flessibile ma anche profondo e tenace — proposto da papa Francesco. E se si allontanano dall’autorità del papa, i vescovi africani indeboliscono anche la propria.
È solo un esempio delle contraddizioni che si nascondono dietro le posizioni più rigide. La pubblicazione della lettera dei cardinali segna indubbiamente un salto di qualità nella dialettica sinodale. Obbliga chi confermerà di averla firmata ad uscire allo scoperto. Ma probabilmente contribuirà anche ad evidenziarne le debolezze. Finora le posizioni più intransigenti sono state presentate come veramente cattoliche. Ma questi atteggiamenti contrastano con una comunione ecclesiale che ha nel papa il suo riferimento ultimo. Intanto, il sinodo prosegue il suo cammino e molti padri sinodali hanno già auspicato che i lavori si concludano con un messaggio alto della Chiesa al mondo sulla famiglia e i suoi problemi. Un messaggio affidato, ovviamente, a papa Francesco.
Agostino Giovagnoli