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 2015  ottobre 09 Venerdì calendario

Russia e Nato, la nuova guerra fredda. Come se il problema, dopo l’intervento di Putin, non fossero più Assad o il Califfato, mentre rimangono lontani sullo sfondo conflitti mai spenti che si riaccendono paurosamente, come la nuova Intifada palestinese, o la guerra in Yemen, che appare una sorta di Vietnam saudita

Con i mattoni sbriciolati delle nazioni del Medio Oriente polverizzate dalle guerre si costruisce un nuovo Muro nel cuore dell’Europa. Il confronto tra la Russia e la Nato è sempre più aspro: guerra del Siraq (Siria più Iraq) si sta muovendo lungo un arco della crisi che ormai travalica il Medio Oriente e l’ambito regionale.
Dall’arena insanguinata del Levante la contesa Est-Ovest rimbalza in Europa, riapre la ferita dell’Ucraina, con coinvolgimento dei Paesi baltici e balcanici fino alla Turchia, storico membro della Nato affacciato sul caos siriano e iracheno. Come se il problema, dopo l’intervento russo, non fossero più Assad o il Califfato, mentre rimangono lontani sullo sfondo conflitti mai spenti che si riaccendono paurosamente, come la nuova Intifada palestinese, o la guerra in Yemen, che appare una sorta di Vietnam saudita. Il mondo sembra tornare a prima del crollo dell’Urss, quando oltre e al di qua del Muro non c’erano dubbi tra chi fosse l’amico e il nemico. La guerra del Levante in questo senso ha mescolato le carte per l’Occidente che adesso cerca di ridistribuirle mettendo i giocatori a loro posto di destinazione. Ma è un posto ben diverso da quello di un tempo: Paesi Baltici e Balcanici ormai sono dalla parte occidentale ed è proprio questo che brucia a Mosca. La Russia ha giocato alcuni dei suoi assi: l’alleanza storica con Damasco, l’intesa con l’Iran, rafforzata durante gli anni delle sanzioni, sfruttando le indecisioni dell’Occidente a percepire su quali cavalli puntare in Iraq e in Siria. Il 30 settembre con gli attacchi aerei Putin ha calato l’asso di picche dispiegando una forza militare di primordine per salvare Assad ma soprattutto per dimostrare di essere ancora una superpotenza: era questa la rivincita che avevano studiato in questi anni gli strateghi del Cremlino. Una rivincita che ha un solo limite di cui a Mosca sono ben consapevoli: la crisi economica del sistema russo e le possibili ricadute di un nuovo scontro Est-Ovest. Qui si capirà se Putin è un attore razionale perché la nuova crisi è a tutto campo, militare, politica ed economica. Basti pensare alle affermazioni del presidente turco Erdogan dopo la dichiarazione del segretario generale della Nato Jens Stoltenberg che l’Alleanza è pronta a difendere Ankara. Erdogan ha minacciato di non comprare il gas di Mosca e di non cooperare più nella costruzione della prima centrale nucleare di Ankara se la Russia dovesse continuare a violare lo spazio aereo turco. I turchi sono il secondo cliente di Gazprom dopo la Germania: fallito il South Stream per la crisi ucraina, Putin ha sfoderato il Turkish Stream destinato a esportare il gas in Turchia e verso i mercati europei. Ma quello che ha più irritato il Cremlino è il rafforzamento della Forza di intervento rapido della Nato. All’interno è inquadrata la task force Spearhead (punta di lancia) per la difesa dell’Europa orientale e meridionale sotto il comando di sei quartier generali: in Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia e Romania, cui si aggiungeranno altre due basi in Slovacchia e Ungheria. È questa la vecchia spina dorsale della cortina ferro, il giardino di casa che Putin reclama come lesa maestà. Ma la soluzione di questa crisi non sarà e non potrà essere, ci si augura, un nuovo Muro.