Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  ottobre 09 Venerdì calendario

«Ferilli e Buy si baciano in un ascensore. Giovanardi ha le mani sul mento. Ferilli e Buy fanno volare le lenzuola. Giovanardi ha le mani sul mento. Ferilli scopre il tradimento. Giovanardi ha le mani sul mento»: una serata al cinema con Carlo Giovanardi, a guardare "Io e lei" di Maria Sole Tognazzi, la storia d’amore lesbico tra Margherita Buy e Sabrina Ferilli. Solo alla fine, l’unico commento sul film: «Garbato, mi è sembrato garbato»

“Come si chiama la ragazza che viene al cinema con me?”, “Non è una ragazza, onorevole, sono io”, “Ma che fa? Ci casca subito? Ci stavo solo provando”. Come tutti i comici sacrificati negli abiti di scena pretesi dal copione, appena concluso lo spettacolo, il senatore Carlo Giovanardi da Modena diventa un altro uomo. La recita di Palazzo Madama è finita da poco, Roma è ancora tiepida e Giovanardi passeggia in piazza Barberini ben concentrato sul telefonino alternando automatismi post televisivi: “Mi tengo informato, qui si dice che in Italia va tutto bene, non mi pare proprio” a insopprimibili tic da campagna elettorale permanente: “Credo che Renzi debba stare molto attento”. Prima del futuro, una stretta di mano. Per l’immediato presente, una solenne promessa: “Ognuno si paga il suo biglietto”, una battuta: “Facciamo alla romana, altrimenti poi voialtri mi accusate di qualcosa”.
E il via alla lenta marcia in direzione della sala Fiamma in cui alle 22 e 30 l’esorcista di stretta osservanza cattolica Giovanardi Carlo, brucerà con lo sguardo il peccato di Margherita Buy e Sabrina Ferilli. A giudicare dai tempestosi precedenti dialettici che gli fecero postulare un’innegabile connessione tra l’adozione da parte delle coppie gay e la compravendita di bambini, sulla storia d’amore immaginata da Maria Sole Tognazzi in Io e lei, Giovanardi dovrebbe avere un’idea più precisa di quella sulla norma che regolamenta l’ingresso.
Ma, dice, “ho solo un pezzo da 50” e lo vediamo quindi ravanare oscenamente nelle tasche, estrarre monete da 20 centesimi, da 10 e persino da 5, depositarle sul bancone, provocare la reazione della cassiera che sembra divertirsi e poi si adombra, indietreggia e disapprova, trovare la forza di respingere l’ennesima offerta con un colpo di teatro: “Ho detto ognun per sé” e poi stravolgere il finale sorridendo come ogni bravo regista di se stesso dovrebbe saper sempre fare: “Grazie per i 3 euro, la gag era calcolata”.
Una volta in sala, tra una boccata di corroborante mitomania: “Adesso, grazie a Sirchia e al sottoscritto al cinema non si fuma più” (la legge è del 1975 e pur essendo prossimo a un quarto di secolo da Guinness, Giovanardi è entrato in Parlamento solo nel ’92), un ricordo commosso: “Per la trilogia di John Ford” e una memoria dei tempi andati: “Io ero compagno di banco di Tassi, il deputato missino che indossava sempre la camicia nera. Aveva avuto un fratello ammazzato dai partigiani comunisti e uno dai tedeschi. Detestava entrambi e conosceva i sapori del suo brodo: ’Ricordati: camerata, camerata/fregatura assicurata’”. Giovanardi si tiene lontanissimo dal tema del film. Le luci sono accese. Qualcuno lo guarda con riprovazione. Altri con curiosità.
Ci sono spazi vuoti e forse per riempirli, mentre la pubblicità tracima, Giovanardi parla di tutto. Per afferenza argomentativa, di Fini: “L’ho chiamato la sera prima dello strappo. Ero stato l’unico a difenderlo, Provavo a farlo ragionare, ma Gianfranco voleva soltanto il gesto definitivo e l’applauso di Santoro, del Fatto e di Repubblica. Gli dico ‘Hai vinto, hai fatto i gruppi, che altro vuoi?’ e lui ‘Deve morire’. Penso di aver sentito male, ritento ‘come hai detto?’, ‘Berlusconi deve morire’. Non c’è stato verso di uscirne, era diventata una faida personale”. Per ulteriore induzione, forse, degli attori repubblichini: “Si fa prima a dire chi non c’era, ma Vianello non abiurò mica”. Poi il film inizia. Ferilli e Buy si baciano in un ascensore. Giovanardi ha le mani sul mento. Ferilli e Buy fanno volare le lenzuola. Giovanardi ha le mani sul mento. Ferilli scopre il tradimento. Giovanardi ha le mani sul mento. Se Giovanardi fosse ne Il moralista di Sordi, potrebbe esondare davanti all’ambiguità femminile in un “Te piace, eh? Te credo è un omo”, ma il Giovanardi senza elettricità e senza desiderio di competizione horror è un Giovanardi di inquietante fissità.
Uno che – come accade – pensa cose diverse da quelle che dice. Un uomo che tiene immensamente ad apparire peggiore di quel che è. Un attore che recita proprio come i suoi fratelli sullo schermo. Il primo fremito dell’onorevole, un accavallamento delle gambe e un nitrito che somiglia a una risata, accendono l’entusiasmo del cronista. Scoop. Scoop. Polemichetta: “Si annoia?”. Lo sguardo immobile: “Per niente”. Gli piace il personaggio curiale di Fantastichini: “In quelle situazioni l’uomo che deve fare?”. Litigi, riappacificazioni, sacro e profano. C’è una battuta che il fratello di Ferilli, grevissimo, pronuncia in bagno. Si sente “colonna fecale” e poco dopo, a tavola, la parola “cesso” in un tripudio di rinfacci e pasta al forno. Il compagno di visione di Giovanardi ride sguaiatamente. È l’unico. Forse lo fa vergognare. Lui si informa: “Cosa ha detto?”, “Cesso”, “Ah”. Mezzanotte è passata. C’è un finale. Un sottofinale. L’uscita.
Su Via Bissolati, Giovanardi torna al ’68. Mesi in una sezione della Dc. Erano i tempi delle preferenze e se non fosse blasfemo direbbe “dio come mi mancano”. In effetti dice una cosa molto simile e a 200 metri dal cinema ne dice un’altra: “Prendiamoci una birra”. Zona franca. Ha amici gay “carissimi” e – giura – non ha pregiudizi. Paragonò il bacio tra donne alla pipì fatta per strada: “Bufala totale, l’intervista fu alterata, quella frase non l’ho mai detta”. Gli chiedi i perché di tutte le cosacce più o meno inaccettabili: “Inaccettabili per chi?” pronunciate in nome di una rendita: “Rendita di che?”. Controbatte, cita, argomenta, ma si vede che la voglia è poca. La birra è finita. La strada deserta: “Non vuole sapere come mi è sembrato il film?”, “Certo”. “Garbato, mi è sembrato garbato”.