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 2015  ottobre 09 Venerdì calendario

Palenzona, ritratto del Maradona delle poltrone. Camionista, industriale, commerciante, rappresentante degli aeroporti ma anche delle autostrade. Ha fatto tutto. È passato dalla prima alla seconda Repubblica dei potenti, è entrato nella terza sempre più forte. L’hanno chiamato l’“Obelix di Novi Ligure”, “il ciccione” ma anche “Attila”. Ecco chi è il banchiere dell’Unicredit accusato si aver fatto gli interessi di Matteo Messina Denaro

Fabrizio Palenzona è grande quanto i conflitti di interesse che si porta dietro. Lui occupa tutte le caselle. E quando non sono libere fa in modo che lo diventino. Un metro e novanta di altezza per oltre un quintale e mezzo di peso, 62 anni. Modi cortesi, quasi curiale, ma assai determinato. Affabile e ambizioso. Barba bianca, una laurea in giurisprudenza. Bulimico collezionista di incarichi: quattro presidenze, una vicepresidenza, due consigli di amministrazione, un comitato esecutivo solo per restare alle ultime poltrone su cui siede. Banchiere e camionista, industriale e commerciante, rappresentante degli aeroporti ma anche delle autostrade. Faceva anche più cose ma il “Salva Italia” di Mario Monti l’ha costretto ad uscire da più di un cda, a cominciare da quello di Mediobanca. Lobbista di tanti. Interprete di quella nuova finanza cattolica che ha abbandonato il piagnisteo e ha imparato a fare i conti con la spudoratezza dei mercati. È passato dalla prima alla seconda Repubblica dei potenti, è entrato nella terza sempre più forte. L’hanno chiamato l’   “Obelix di Novi Ligure”, “il ciccione”, “il camionista”. “Attila”, secondo gli ambientalisti del Wwf. Hanno lasciato la scena Alessandro Profumo, Cesare Geronzi, Vittorio Maranghi, Antonio Fazio, Giancarlo Elia Valori. Lui no. Ha saputo cambiare pelle ogni volta che era necessario.
Sta, ed è stato, con tutti ma soprattutto con se stesso. Ha avuto un fortissimo legame con Gianni Letta, braccio destro di Silvio Berlusconi, ma è andato d’accordo pure con Giulio Tremonti nonostante fosse espressione di quelle Fondazioni bancarie con cui il ministro già forzista entrò in rotta di collisione. Lo stima Pier Luigi Bersani («hanno preso Maradona», disse quando Palenzona divenne presidente dell’associazione delle autostrade). Buona intesa con Corrado Passera, prima banchiere, poi ministro, infine politico. Non ha mai interrotto i legami con la famiglia Gavio (a Marcellino deve buona parte della sua ascesa) ma oggi è un uomo dei Benetton. Entrambi sono concessionari autostradali. Presiede gli Aeroporti di Roma (gli scali di Fiumicino e Ciampino), controllata dalla famiglia di Ponzano Veneto, ed è vicepresidente dell’Unicredit mitteleuropea. È il presidente dell’associazione dei gestori degli aeroporti e anche di quella delle autostrade. Sta nel cda dell’Abi, l’associazione delle banche, ed è anche membro del comitato esecutivo della Confindustria di Roma. Chiede e concede il credito. Ha buone entrature nel mondo cattolico, tanto da essersi potuto sposare due volte in chiesa. Debole, invece, sulla scena della finanza internazionale. Per tanti versi è rimasto un provinciale. «Sono un uomo della campagna», dice di sé.
Il suo è un potere relazionale. Prima le Acli, poi la Democrazia cristiana, i popolari, i margheritini di rito cattolico (Franco Marini e Giuseppe Fioroni, per intendersi). È stato probabilmente il primo banchiere a capire che Matteo Renzi da Firenze sarebbe andato lontano. «Ormai organico alla galassia renziana», ha scritto sul Foglio Claudio Cerasa. A Fabrizio Palenzona tutti riconoscono una notevole, raffinata, capacità politica. E pure grande prudenza. Ha detto recentemente: «La politica è come l’aria, o la fai o la subisci». Lui la fa. La politica è sempre stata la sua grande passione. L’ha eredita dal padre. Attraverso la politica è arrivato, da Tortona, provincia di Alessandria, ai santuari della finanza italiana: Mediobanca e Unicredit.
Il suo punto di riferimento politico continua ad essere Carlo Donat Cattin. Lo cita ogni volta che può. Si iscrisse giovane alla Dc, corrente Forze nuove. Comincia la sua cavalcata. È stato per otto anni sindaco di Tortona, poi per due mandati presidente della provincia di Alessandria, eletto con una lista della Margherita. Importante il sostegno che gli arriva dalla famiglia Gavio. Dalla Provincia si muove verso la finanza. Da presidente si autonomina (una casella per sé)nel consiglio di amministrazione della Fondazione della Cassa di risparmio di Torino che è azionista di Unicredit, a sua volta azionista di Mediobanca, di cui finisce per diventare membro del consiglio di amministrazione. Gli intrecci di quella che un tempo era la galassia del nord, i salotti buoni della finanza italiana, con le scatole cinesi, in conflitti di interesse, i noccioli duri, i patti di sindacato. Palenzona ne entra a far parte, diventando in tante partite il king maker come nella defenestrazione di Alessandro Profumo. È incappato in qualche guaio giudiziario. Gianpiero Fioroni, l’allora rampante banchiere della Popolare di Lodi (quello del «bacio in fronte», all’ex governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio) lo coinvolse nell’inchiesta sulla scalata ad Antonveneta. Disse che gli aveva versato 1,2 milioni all’estero e 850 mila euro in Italia. Da ieri l’ultimo banchiere di sistema, il moderno democristiano, è indagato dalla Dda di Firenze per reati finanziari con l’aggravante di aver favorito Cosa Nostra.