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 2015  ottobre 09 Venerdì calendario

Marino, la verità al servizio della bugia. È stato fatto fuori dai camerieri delle trattorie romane. Mangiare a scrocco è una delle istituzioni dei Paesi mediterranei dove lo sbafo è perdonato al “nobile in miseria” e ai “poveri ma belli”, mai ai falsi onesti

Unico nella storia d’Italia, Ignazio Marino è stato dimesso dai camerieri delle trattorie che a Roma sono i ciambellani del potere, «quelli co’ li piedi rossi de’ foco» diceva Aldo Fabrizi.
Non portaborse ma portapiatti, il vero termometro dell’autorevolezza, servitori silenziosi e complici di tutti i padroni, ma pettegoli e spietati con i perdenti. Dunque ieri non ci sono state le dimissioni d’amor proprio: “sapete che vi dico? Non mi meritate“; e neppure le dimissioni da capro espiatorio: “me ne vado per il bene comune“. Marino se ne è andato per sfinimento. E certo sarà ricordato anche per la lettera strampalatissima che annuncia il ritiro delle dimissioni mentre le rassegna. Il sindaco entra così nel catalogo dei mattoidi italiani, indomabili campioni di bizzarria come quel Francesco Becherucci per esempio, fisiologo fiorentino, molto stimato all’estero come Marino, che inventò un apparecchio per mangiare le uova quando si trovano ancora dentro la gallina.
Certo, l’Italia è ricca di “dimissioni mai”, “reincarico”, “sfiducia”, dimettersi per immettersi, e siamo pieni di Menenio Agrippa, Coriolano ed Enrico Toti, ma non si era ancora visto un “ecco le dimissioni che ritirerò”. Nel suo stile puro e sudicio, Marino infatti non si rassegna agli Aldo Fabrizi che lo hanno sgamato, smentito e sbertucciato, ai 10 assessori che l’hanno abbandonato, all’Italia intera che lo ha beccato a rubacchiare sulla spesa.
A bocca aperta, l’Italia, che all’inizio aveva visto in lui il signor Kunt, il marziano di Flaiano, con la sua bicicletta-astronave circondata dalla Roma di ” a stronzo, do’ stai? do’ vai? ”, lo ha infatti scoperto “smisurato” nella sua disonestà, perché si è fuori misura non solo ingrandendosi sino all’arraffo dell’impresa e del malaffare keynesiano, sino all’enormità di Buzzi e der Cecato di Mafia-Capitale, ma si è fuori misura anche riducendosi, immiserendosi in uno scontrino di 8 euro e 50, cene a sbafo, bottiglie di vino a scrocco, ma senza la simpatia del vero morto di fame, del Totò che dice: «A proposito di politica… ci sarebbe qualche coserellina da mangiare?».
Mangiare a scrocco è una delle istituzioni dei Paesi mediterranei dove lo sbafo è perdonato al “nobile in miseria” e ai “poveri ma belli”, mai ai falsi onesti. E la truffa degli scontrini va bene per il Rugantino, che è il lazzarone per eccellenza, ma non per il sindaco della vanagloria. «Cosa diranno di lei tra vent’anni?», gli chiesi una volta. «Diranno che Marino ha liberato la politica dalla disonestà e dall’intreccio perverso con gli affari».
Ci credeva davvero? I romani hanno fatto leggenda del “se magna!” di tutti i potenti, anche dei cardinali che, come raccontava il Belli, sanno benissimo dire: « Miserere mei Deo sicunnum “maggna”». E aggiungeva che « oggi sur “maggna” ce sò stati un’ora». Insomma, tutto sopportano i romani, anche la crapula vaticana e il laidume alla vaccinara, ma non la favola sleale dell’estraneità di Marino che davvero somiglia al Jim di Bertolt Brecht e Kurt Weill, al quale tutto viene perdonato dalla città corrotta di Mahagonny, ma non “lo scrocco onesto” di due bottiglie di whisky, non la frode spacciata per virtù. Marino è il moralista peccatore, con lo sguardo tutto puntato sui peccati degli altri. Sembra inventato da Verdone in uno dei suoi film sugli italiani che praticano di nascosto i vizi che odiosamente denunziano nel prossimo. E il finto moralismo lo ha portato sino alla spavalderia di esibire egli stesso gli scontrini che lo inchiodano, ma un momento prima che lo facesse l’opposizione dei grillini e della lista Marchini: «È per decisone mia che tutte le spese sono consultabili». Ecco il metodo Marino: la verità al servizio della bugia.
Sepolti in 492 pagine, gli scontrini bugiardi devono essergli sembrati a prova di verifica. E forse è questo il famoso libro caraibico che Marino si era messo a scrivere “con la luce accesa / dall’altra parte del mare blu”, mentre a Roma veniva semicommissariato dal prefetto Gabrielli.
È la maledizione dello scontrino che già inguaiò i grillini i quali, più furbi di Marino, li perdevano: «Mi hanno rubato il portafoglio con gli scontrini delle spese, aiutatemi, che faccio? » scrisse su Facebook Roberta Lombardi. Gli scontrini infatti sono coriandoli di cartuzze nei taschini e nei portafogli, segnalibri pericolosi perché hanno una data, sono più intimi di un diario, e magari attestano pasti e pernottamenti truffaldini, e non hanno mai la delicata malinconia dei petali rinsecchiti, dei non-ti-scordar-di-me. Gli scontrini hanno infangato interi consigli regionali, il Lazio, la Sicilia, il Piemonte… Cota comprava mutande verdi. E poi c’è la grottesca propaganda renziana di Pina Picerno: «80 euro, ecco la mia spesa per due settimane ». Solo con Marino diventa per sempre un sospetto di infedeltà, un certificato di slealtà, un’idea d’Italia come grande meridione, Paese di amministratori infidi e carte false.
Il lettore, che è ormai multimediale, capirebbe meglio questo articolo se ascoltasse in sottofondo la colonna sonora (“…e se uno dà calci son io / e se uno li piglia sei tu“) del capolavoro brechtiano che, per accidente storico, da martedì scorso va in scena al Teatro dell’Opera,
Ascesa e caduta della città di Mahagonny che è appunto la città della corruzione, una profezia della Roma di oggi dove Marino ha fatto lo straniero. «Io — mi disse — ho anticipato Pignatone, ho cacciato Panzironi dall’Ama, ho chiuso la discarica, ho reciso i contratti di favore, ho imposto di approvare un bilancio...». Tutto vero, ma solo in Sicilia finora si era visto il disonesto che lotta per l’onestà. Non siamo ancora al mafioso antimafia, ma il cerchio dannato è lo stesso, un po’ come in quei funerali dei romanzi gialli dove la più appariscente corona di fiori è dell’assassino, il bacio più rumoroso è del mandante, con il risultato finale che fiori e baci sono tutti e sempre sospetti. La città di Mahagonny ha digerito Sbardella e Andreotti, e ha pure avuto con Alemanno il suo Ciancimino. Pensava di aver capito anche la goffaggine dell’onestà di Marino, non il delitto da perseguire ma la maldestrezza da deridere, la comicità da barzelletta che portò il sindaco a convocare un vertice sulla sua Panda Rossa multata 9 volte dal sistema che registra gli ingressi delle auto nel centro. Anche allora Marino denunziò il sistema informatico del Comune che avrebbe fatto meglio a chiudere un occhio (elettronico): «Mi hanno teso una trappola». Sempre denunzia i poteri forti e il complotto politico. Mancano solo la Spectre e il Bilderberg.
Eppure prima degli scontrini, a molti di noi veniva voglia di dargli una mano anche quando faceva l’americano di Filadelfia nella città del “maccarone, tu m’hai provocato e io me te magno”. E forse per sfortuna o per coincidenze freudiane Marino divenne l’uomo che non c’era, il sindaco sempre assente, perché sempre era in America: « Abroad mi applaudono, ma a Roma fatico».
Davvero prima di scoprire la frode, l’Italia gli perdonava le
gaffe e la goffaggine. “Non impicchiamo il sindaco ai dettagli”, dicevamo di lui anche quando vedevamo i pizzardoni con la panza arrancare in bicicletta dietro la sua bici, fisicamente co-stretti nel ruolo ancillare di ciclomoschettieri per la foto sui giornali. E anche quando, imbrogliandosi con i curriculum, Marino scelse un capo dei vigili urbani che aveva tre lauree ma che fu bocciato dall’Avvocatura dello Stato “per mancanza di esperienza nel comando”. Persino quando scoppiò Mafia-Capitale pensammo che Marino non si era accorto di quei loschi collaboratori che gli giravano intorno e che avevano la sua fiducia perché questo sindaco per noi era davvero un onesto tontolone, il colpevole al quale non si poteva rimproverare nulla o l’innocente al quale si poteva rimproverare tutto.
Mentiva già allora? Gli credemmo quando disse che non aveva mai incontrato Buzzi, e pensammo che davvero avesse dimenticato quelle foto che lo smentivano. Ebbene, ieri è stato terribile ascoltare su Radio Padania un dibattito (si fa per dire) così intitolato: “Perché Marino deve dimettersi per aver mangiato con la moglie se non si dimise per aver mangiato con Buzzi?”.
Pensammo pure che il Papa della misericordia avesse voluto esageratamente punire il tontolone imbucato a Filadelfia. Ora sappiamo che lo Spirito Santo gli aveva mostrati gli scontrini. In fondo prima dei camerieri romani è stata Sua Santità a licenziare Marino, a smascherare la sporcizia del suo candore.