La Stampa, 8 ottobre 2015
Come cambia il collezionismo. I nuovi quarantenni a francobolli e quadri preferiscono fotografie, moda e tecnologia vintage. Il primo pc è l’Altair 8800, sul quale Big Gates scrisse il “basic” per Microsoft, vale quattromila euro. Secondo Filippo Bolaffi i vini vanno ancora meglio: «Ma attenzione: vanno bevuti - e i formaggi mangiati. La collezione si consuma, salvo trasformarsi in etichette, ovvero bottiglie fantastiche che non vale più la pena di assaggiare»
Anche i collezionisti hanno una storia. Si evolvono, cambiano, da una generazione all’altra le differenze possono essere importanti: non solo negli oggetti sui quali si dirige la loro passione, ma proprio nel modo di interpretarli. La fotografia già molto consolidata all’estero è una nuova frontiera, soprattutto in Italia, e l’asta Bolaffi di oggi è lì per dimostrarlo. Anche se vengono battute soprattutto immagini «classiche», con una tradizione, «mentre cresce invece l’attenzione a quelle realizzate come opere d’arte contemporanea» dice Filippo Bolaffi, ora alla guida, dopo il padre, il nonno e il bisnonno, della storica casa d’aste torinese nata nel 1890 con francobolli e monete. In famiglia la fantasia non è mai mancata, gli antenati erano diventati ricchi commerciando piume di struzzo, suo padre Alberto si era lanciato tra i reperti delle esplorazioni spaziali, aveva fatto timbrare francobolli sulla Luna, lanciato vent’anni fa i manifesti d’epoca.
Ora è il suo turno, quarta generazione. Ha deciso di sintonizzarsi su una domanda ancora incerta, su un mondo un po’ inesplorato, quello appunto del collezionismo nell’era dei social media. «Penso a un mio ideale coetaneo, un quarantenne con qualche soldo da parte e voglio provare a dargli motivazioni, a fargli riconoscere e organizzare le sue passioni». In giro ne sbocciano tante, basta andare per mercatini: dove si raccoglie di tutto, anche se la vera e propria collezione è qualcos’altro, ha regole e procedure, necessita di un mercato, di una legge riconoscibile della domanda e dell’offerta. E magari non raccoglie più francobolli, e neppure opere d’arte.
Che cosa, allora?
«Bisogna distinguere. Gli oggetti possono anche essere gli stessi, dalle monete al computer, quello che cambia è l’atteggiamento. Poi, naturalmente, ci sono alcuni settori totalmente nuovi».
Cominciamo dall’atteggiamento.
«Lo definirei quello dell’uno-per. Ovvero di chi vuole grandi icone: non tutte le varianti di una medesima moneta, ma una bella moneta per ogni imperatore. Non tutte le bottiglie, ma una per produttore».
Emblemi eterni, nomi, evocazioni pure. È un verso di Ungaretti.
«Potremmo anche dire semplicemente trofei. Il nuovo collezionista non è super-specializzato come i suoi predecessori. E sa che completare una collezione è quasi impossibile».
Così sceglie, per innamoramenti magari imprevedibili?
«Diciamo che resta la distinzione fra i grandi collezionisti che continuano con l’arte, le monete, i francobolli, e quelli che possiamo considerare più giovani, magari attratti da ambiti decisamente più abbordabili».
Per esempio?
«Due settori stanno prendendo rapidamente piede: il vintage tecnologico e quello fashion, insomma la moda».
Collezioni facili?
«Non necessariamente. Oggi la borsa più “iconica” è la Chanel 2.55 – le due ultime cifre indicano l’anno in cui venne prodotta per la prima volta. Continua a essere venduta con piccole modificazioni periodiche, ma quelle degli Anni 70 valgono già come quelle nuove».
E la numero uno?
«Introvabile».
Non così il primo pc.
«Ne circolano parecchi. Non si tratta dell’Apple-1, nato nel ’76 e costosissimo, perché prodotto in pochi esemplari molti dei quali subito ritirati dal mercato; lo si trova sì, ma a 400 mila dollari. Il primo pc è l’Altair 8800, sul quale Big Gates scrisse il “basic” per Microsoft. Con 4000 euro lo si porta a casa».
Il nuovo collezionista pensa agli affari?
«No, o almeno non solo. Serve passione. Ma anche un mercato che consenta semmai di rivendere i pezzi. Tutti gli oggetti sono collezionabili, non tutti hanno un mercato. Tecnologia e moda sicuramente sì. Sulle foto d’arte potrebbero gravare un po’ di bolla speculativa, quelle tradizionali sono una certezza».
E i vini? Li avete persino associati ai formaggi, in asta.
«I vini vanno ancor meglio. Ma attenzione: vanno bevuti – e i formaggi mangiati. La collezione si consuma, salvo trasformarsi in un etichette, ovvero bottiglie fantastiche che non vale più la pena di assaggiare».
Costosi?
«Abbastanza. Ma non si superano i diecimila euro».
Mille a bicchierino...
«Le ho fatto un esempio estremo. Del resto c’è anche chi ha una strepitosa collezione di luci di Natale: non gli è costata quasi nulla. Ma è difficile che possa mai avere un mercato».