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 2015  ottobre 08 Giovedì calendario

Donald Trump, tutte le sparate di una campagna elettorale pirotecnica, tra il miraggio di un’America nuovamente imbattibile («Riprendiamoci il lavoro, strappiamolo via alla Cina, al Giappone e al Messico. Prendete la Cina: le dobbiamo 1,4 trilioni di dollari, perché siamo governati da gente stupida») e battute grevi (sulla Fiorina: «Guarda che faccia! Ma c’è qualcuno che voterebbe mai una così? Ma ce la vedete quella come la faccia del nostro prossimo Presidente?»). «Ho un’incredibile disponibilità di denaro e pochissimi debiti, posso fare tutto quello che voglio. Allora mi sono detto: “Voglio provare a candidarmi alla presidenza”. C’è bisogno di questa mentalità per fare grandi cose»

Dall’enorme atrio in marmo rosa della Trump Tower di Manhattan, lo scorso giugno, Donald John Trump ha dichiarato di volersi candidare alle prossime elezioni come presidente degli Stati Uniti d’America. Da allora è stato preso in giro e insultato, adorato e corteggiato e, fino a poco fa, considerato poco più di un rappresentante della deriva forcaiola del Partito Repubblicano (le sparate sui migranti tutti «stupratori» e «assassini» ne sono un esempio). Eppure, da subito ha dominato la corsa alla Casa Bianca con un considerevole vantaggio.
«Ho creato una rete di imprese che vale 10 miliardi di dollari. Sono un uomo di affari di primo livello. Riprendiamoci il lavoro, strappiamolo via alla Cina, al Giappone e al Messico. Prendete la Cina: le dobbiamo 1,4 trilioni di dollari, perché siamo governati da persone che non hanno idea di quello che stanno facendo. Onestamente penso che siamo nelle mani di gente stupida». Questo è il succo della sua campagna elettorale: io sono forte, i politici sono deboli. Loro ci hanno ridotto sul lastrico, io vi rimetterò in piedi e farò in modo che l’America sia forte e temuta in tutto il mondo.
Sta facendo la sua prima campagna elettorale a 69 anni, un’età in cui di solito gli uomini cominciano ad accusare problemi alla prostata, e dà l’impressione di essere nato per fare questo e di non essersi mai divertito tanto.
Mi parla di suo padre, lungamente e con affetto. Donald Trump non ammetterà mai volontariamente che gran parte della fortuna della sua famiglia derivi dai soldi dei contribuenti, o che suo padre fosse un abile manipolatore della macchina politica del Partito Democratico di Brooklyn, ma è certo che Fred ha fatto i soldi costruendo palazzi per i veterani della Seconda Guerra Mondiale. Si alza dalla scrivania e mi guida verso le vetrate che si affacciano su Central Park e sui quartieri nord di New York. «Sono arrivato a un punto della mia vita in cui ho un’incredibile disponibilità di denaro e pochissimi debiti, posso fare tutto quello che voglio. Allora mi sono detto: “Voglio provare a candidarmi alla presidenza”. C’è bisogno di questa mentalità per fare grandi cose».
Trump è cresciuto in mezzo ai lavoratori dei cantieri di suo padre, ha imparato a parlare come loro e ha costruito il suo messaggio politico adattandolo alle loro orecchie e individuando i loro nemici: il liberismo, i pezzi grossi del partito, gli immigrati. A Hampton ho visto la folla ribollire, quando ha puntato il dito contro le corporation: «Quando il capo della Ford mi dirà: “Signor Presidente, noi vogliamo aprire una fabbrica in Messico”, io gli risponderò: “Benissimo, vi metterò una tassa del 35% su ogni macchina, ogni camion e ogni pezzo di ricambio che entra negli Stati Uniti!”». Nessuno gli fa notare che solo il Congresso può varare nuove tasse, sono tutti troppo esaltati.
Ma le devianze dal Partito non finiscono qui. Trump chiede un aumento delle tasse sui profitti dei fondi di investimento, tasse sui super ricchi come lui per pagare i tagli alla classe media, aumenti di spesa sulla sanità pubblica in particolare per i veterani e le donne, chiede grandi investimenti di capitale per le opere pubbliche e un aumento dei fondi al Dipartimento della Difesa da tempi di guerra. Come farà a mantenere queste promesse se continua a inimicarsi il Congresso a maggioranza repubblicana e, soprattutto, con quali soldi? La risposta non c’è, ma è riuscito comunque a rubare ai dirigenti del partito la base popolare. Anche se non dovesse riuscire ad arrivare alla presidenza, Trump ha mostrato a tutti che quello Repubblicano è un partito di e per i ricchi.
Trump, secondo le voci, ha raccolto 100mila dollari, ovvero il 5% di quello che ha speso finora. È davvero pronto a spendere 30 milioni al mese, e ancora di più quando ci saranno le primarie? «Assolutamente – mi risponde – sono pronto a coprire le spese, faccio tra i 400 e i 600 milioni di dollari all’anno». L’anno scorso, secondo le stime che lui stesso ha fatto, ha avuto entrate per 362 milioni. A un certo punto si rivolgerà alla gente che ora denuncia? (i tizi dei fondi d’investimento e i lobbisti)?
Dopo cena, Trump si slaccia la cravatta e si appoggia alla sedia per commentare quello che si vede in televisione. Il conduttore si rivolge a Carly Fiorina chiedendole un commento sulla discesa in campo di Trump, lui sgrana gli occhi davanti al televisore e come un ragazzino del liceo dice disgustato: «Guarda che faccia! Ma c’è qualcuno che voterebbe mai una così? Ma ce la vedete quella come la faccia del nostro prossimo Presidente?». Tutti scoppiano a ridere. «Ok, è una donna e io non posso dire cose cattive sulle donne, ma davvero ragazzi, siamo seri?».