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 2015  ottobre 06 Martedì calendario

Elezioni di Milano, monito di Maroni a Salvini: «Senza Ncd alleata in comune, rischia di saltare anche il governo della Regione»

Governatore, è vero che lei e Salvini state litigando sulle alleanze politiche a Milano e sul referendum?
«Ma no, la nostra non è una lite, sono solo valutazioni diverse sull’opportunità di fare certe scelte. Poi il segretario della Lega è Salvini e sarà lui a decidere. Senza polemiche. Però...».
Però cosa?
«Io ho il dovere di metterlo di fronte a un paio di considerazioni. La prima è che in Lombardia Ncd governa con noi e lo fa bene. La seconda è che se Ncd si allea a Milano col centrosinistra e vince le elezioni, si manda in crisi anche il governo della Regione, perché non posso lavorare con una forza che mi è ostile in Comune...».
Salvini dice che la Lombardia fa statistica a sé perché quando si è votato Ncd non esisteva...
«In Liguria si è votato dopo e Ncd fa parte della coalizione di centrodestra che ha vinto. Mi sembra un precedente di non poco conto...».
Se alla fine Salvini decidesse di «tagliare» i centristi dalla coalizione, lei che farà?
«Come ho già detto, lui è il segretario e io accetterò le sue decisioni. Poi è chiaro che in caso di decisioni forti anche lui sa benissimo che, soprattutto in chiave nazionale, per gli alleati se si vince a Milano abbiamo vinto tutti, ma se si perde ha perso Salvini...».
L’altra questione sul tavolo è quella del referendum. Salvini lo vuol fare a tutti i costi, lei prima vuole aprire una trattativa con Roma. Corretto?
«Salvini fa il segretario politico, io il governatore. È mio preciso dovere fare tutto quello che è in mio potere per portare a casa più soldi possibile per i lombardi. Se questo richiede di trattare con Roma non posso non farlo».
Il timore di parte della Lega è che questa trattativa possa mandare a gambe all’aria il referendum sull’autonomia.
«No, il referendum non è in pericolo. Ho ricevuto mandato dal tavolo di maggioranza per trattare sui temi dei costi standard e del residuo fiscale. Due partite che col referendum non hanno nulla a che fare. E poi per capire le intenzioni del governo basterà aspettare la finanziaria. Se in essa saranno presenti i provvedimenti che ci hanno promesso sui costi standard si potrà proseguire nella trattativa. In caso contrario prenderemo atto che con Roma non si può trattare e agiremo di conseguenza. Ma io, ripeto, faccio il governatore e non posso non fare almeno un tentativo».
Oggi (ieri, ndr) era a Roma proprio per aprire il tavolo di trattativa. Com’è andata?
«Direi bene. Ho incontrato Renzi e abbiamo parlato dei costi standard in Sanità. La prossima settimana, invece, ci rivedremo per discutere del residuo fiscale. Punti sui quale anche i sindaci del Pd si sono trovati d’accordo con me».
Andiamo con ordine. Il governo è davvero pronto a intavolare un discorso serio sui costi standard in ambito sanitario?
«Abbiamo parlato col ministro Lorenzin. Ho fatto due proposte: la prima riguarda i criteri di riparto del fondo nazionale, che oggi sono legati al Pil e al numero degli abitanti. Ho chiesto di rivederli introducendo, appunto, i costi standard e una serie di misure legate alla reale efficienza della Sanità regionale. E non è tutto».
Dica.
«Ho chiesto anche l’introduzione di un fondo di premialità da dividere tra le regioni virtuose, anch’esso legato a fatti concreti quali, ad esempio, la puntualità nei pagamenti dei fornitori».
Secondo lei come andrà a finire?
«Sono ottimista. Con me c’erano anche il presidente della Toscana, Chiamparino e quello dell’Emilia Romagna, Bonaccini, che hanno appoggiato le mie proposte».
Parliamo invece di residuo fiscale. Qui la battaglia si preannuncia più dura.
«Di questo parleremo la prossima settimana con Renzi. La sua presenza è indispensabile, perché io voglio trattare solo con lui e nessun altro».
Avete fatto i conti di quanto porterebbe a casa in più la Lombardia?
«Se applicassimo quanto chiesto nel documento dei sindaci, la percentuale del residuo fiscale passerebbe dall’attuale 68% al 76,8%. Ben più di quanto promesso in campagna elettorale. I conti poi sono presto fatti: ogni punto percentuale vale un po’ meno di due miliardi...».