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 2015  ottobre 06 Martedì calendario

Il Pil dell’Expo, fino al 2020 di dieci miliardi di euro. Ma per rendere duraturo l’effetto grande evento, bisogna incentivare il turismo e attrarre nuovi capitali dall’estero

Le code bibliche ai tornelli di Cascina Merlata, di Fiorenza, ai padiglioni del Giappone, dell’Italia, perfino del Kazakhstan, i weekend da record con 400mila visitatori, i consuntivi dei biglietti effettivamente venduti hanno definitivamente sgomberato il campo dai dubbi, dalle malignità, dalle profezie di sventura che a lungo hanno avvelenato le giornate del commissario Giuseppe Sala. Expo 2015 è un successo, se il metro di giudizio è il numero dei visitatori e la loro soddisfazione all’uscita. L’obiettivo dei 20 milioni di ingressi è virtualmente raggiunto (a fine settembre eravamo a quota 16,5 milioni, sono già diventati oltre 17 con il primo scorcio di ottobre). E, quel che più conta, la grande maggioranza di chi ha passeggiato tra cluster e padiglioni è uscita con l’impressione viva di aver partecipato a un evento unico, organizzato in modo impeccabile, con tante cose da gustare.
Certo, la bellezza è un’altra cosa e il tema della nutrizione del pianeta, della lotta alla fame e agli sprechi è stato solo sfiorato da pochi dei Paesi partecipanti e da solo alcune delle migliaia di iniziative (l’ultima: il pranzo con tremila senzatetto che domenica la Caritas ha portato all’Expo) messe in scena a Rho-Pero. Ma le leggi dell’economia e del successo ammettono solo l’evidenza dei numeri, e i numeri ci sono. Tanto che Sala, artefice di un’aggressiva campagna “buttadentro”, ha sostanzialmente archiviato la pratica, giudicando ormai acquisito il risultato, e ha cominciato a pensare ad altro. All’operazione di smantellamento, al post-Expo, e soprattutto al suo futuro professionale, ancora incerto tra offerte di aziende private (tante), desiderio di continuare a dedicarsi alla promozione turistica del Paese e probabile necessità di arrendersi alle pressioni del premier Matteo Renzi, che lo vorrebbe candidato sindaco del centrosinistra a Milano.
Ma, al di là dei 20 milioni di visitatori, cosa lascia l’Expo all’economia del Paese? È davvero il volano – auspicato da Renzi – capace di amplificare i segnali di ripresa e di rilanciare l’immagine dell’Italia all’estero? I suoi benefici effetti si esauriranno alla chiusura dei cancelli, il 31 ottobre, o si protrarranno nel tempo? Per tracciare un bilancio, necessariamente provvisorio e per alcune voci impalpabile, conviene assecondare lo schema della ricerca coordinata da Alberto Dell’Acqua ( docente di Finanza aziendale alla Sda Bocconi) con Giacomo Morri ed Enrico Quaini per Camera di Commercio ed Expo Spa. Lo studio, realizzato nel 2013, stimava in oltre 23 miliardi di euro la produzione aggiuntiva del sistema Paese negli anni immediatamente precedenti e successivi il Grande Evento e in circa 10 miliardi il valore aggiunto (cioè sostanzialmente il “Pil dell’Expo”). Cifre che vanno necessariamente ripassate al setaccio fine delle opere effettivamente realizzate, delle spese di gestione effettivamente sostenute, dei flussi turistici e della loro qualità e soprattutto degli effetti, immediati e diluiti nel tempo, sull’economia milanese e nazionale.
Vediamo. Lo studio valuta un impatto di primo livello che comprende le opere di costruzione del sito e delle infrastrutture (1,3 miliardi), i costi di gestione (900 milioni, in realtà saranno meno di 800) e gli investimenti dei Paesi partecipanti (circa 1 miliardo). Fatti i debiti aggiustamenti, una cifra intorno ai 3 miliardi sembra realistica. Un secondo livello è quello che i ricercatori definiscono “indiretto e indotto” e stimavano (nel 2013) intorno ai 14 miliardi. Comprende gli effetti indotti degli investimenti della società Expo e dei Paesi partecipanti ma soprattutto gli effetti dei flussi turistici, stimati (per 20 milioni di visitatori) poco sotto i 9 miliardi. È questa la cifra di cui è più difficile valutare l’attendibilità. Non solo perché dati scientifici non ne esistono ancora, ma anche perché è quasi impossibile definire con precisione quanti sono italiani e quanti stranieri. E ovviamente c’è differenza. Si va dunque per indizi: secondo il Comune di Milano nei primi quattro mesi di Expo, da maggio a fine agosto, i turistisotto la Madonnina sono aumentati del 20%: percentuale che media il più 9% di maggio, il più 12 di giugno, il più 19 di luglio e il boom agostano, più 49%. Proiettando queste cifre sull’intero periodo dell’Esposizione, Palazzo Marino arriva a stimare un indotto per la città intorno a 1 miliardo. Previsione che – al netto delle lamentele di albergatori e ristoratori, che avevano previsto afflussi più elevati e che forse avevano aumentato troppo i prezzi – sembra riflettersi in altri segnali effettivamente misurabili. Per esempio l’occupazione delle camere d’albergo (sopra l’80 per cento nelle settimane più intense di settembre) e il ricavo per ogni stanza disponibile (in termini tecnici, il RevPar): nei soli primi due mesi dell’Expo, i più deboli, è cresciuto del 41 per cento.
Quanti i turisti stranieri e quanti gli italiani? Secondo il Comune, un visitatore su tre è straniero. Qualche indizio più attendibile arriva dai numeri delle carte di credito. Secondo Visa, il circuito internazionale più importante, in maggio e giugno le spese degli stranieri a Milano sono cresciute del 28,6% rispetto all’anno precedente, in luglio e agosto del 29,3% (su tutto il territorio nazionale l’incremento di spesa è del 13,7%). Cinesi e francesi hanno più che raddoppiato, incrementi importanti anche per americani e inglesi. Il punto è quanto di questo business incrementale continuerà nei mesi e negli anni successivi all’Expo. E qui entriamo con i due piedi nel terzo livello di impatto sull’economia nazionale, la cosiddetta “legacy” dell’evento: il deposito di reputazione dell’Italia e attrattività del turismo che l’Expo avrà saputo generare, l’incremento degli investimenti diretti esteri in Italia, ma anche i benefici che le nuove imprese nate in vista dell’Expo sapranno generare nel tempo e ancora gli effetti derivanti dalla valorizzazione del patrimonio immobiliare, milanese ma non solo.
Il valore della legacy veniva stimato dallo studio di Dell’Acqua e soci appena al di sopra dei 6 miliardi di euro. Ma qui siamo nel campo delle ipotesi: se è vero che qualche segnale interessante già c’è (per esempio: il mercato immobiliare dopo anni mostra ancora timidi segnali di ripresa; le migliaia di incontri “B2B” generati dall’Expo hanno generato interessanti prospettive commerciali per le aziende italiane), è vero anche che l’Expo non basterà. La reputazione dell’Italia, la sua capacità di attrazione degli investimenti e dei turisti dall’estero, la propensione all’export delle imprese nazionali sono valori che non crescono da soli ma necessitano di politiche e di azioni concrete da parte del governo nazionale e delle amministrazioni locali. Ancor più appartengono alla sfera dell’insondabile (e per questo lo studio non li quantifica) gli effetti “intangibili” di quarto livello: la valorizzazione economica e le ricadute di medio-lungo periodo delle infrastrutture tecnologiche di Expo e il rafforzamento delle relazioni internazionali.
Ce n’è abbastanza per concludere che, qualora fossero confermate le stime, il Pil dell’Expo (i 10 miliardi spalmati da qui al 2020) aggiungerebbe solo un paio di decimali di punto all’anno alla crescita nazionale (un contributo comunque non irrilevante, considerati i tassi di incremento dell’economia nazionale) ma costituirebbe solo una fetta del potenziale di sviluppo generato dall’evento che, tra cardo e decumano, si avvia alla conclusione. Esiste la possibilità concreta di aumentare, anche di parecchio, il beneficio. Coglierla è una sfida che fin qui hanno compreso in pochi, a giudicare dai fatti. E che rischia di rimanere schiacciata dalle altre mille emergenze nazionali e forse anche zittita dagli squilli di tromba di chi si accontenterà di celebrare il successo di quei 20 milioni di visitatori felici.