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 2015  ottobre 06 Martedì calendario

A Bruxelles, Erdogan dà la sua ricetta per combattere l’Isis. Parla di una zona di sicurezza per i profughi, di formare eserciti per proteggerla e di aiuti, si dice pronto a dialogare sull’apertura di nuovi campi profughi: «Siamo direttamente coinvolti nella questione con 911 km di confini condivisi con la Siria e 315 con l’Iraq, ma non abbiamo mai chiuso le porte in faccia a chi fugge». Sottinteso è il pensiero più duro e minaccioso del turco: "E l’Europa?"»

Recep Tayyip Erdogan si presenta con una cravatta rosa e un piano in tre punti per affrontare all’origine, cioè in Siria, il dramma dei migranti. È una visita importante, dopo che nel 2011 il viaggio era stato annullato per le violazioni reiterate della libertà dei media. Il presidente turco è il vicino di casa scomodo con una frontiera in comune con Bashar al Assad e una con l’Iraq, l’alleato di molti europei in casa Nato, il leader di un paese dove ancora ieri sono stati colti a sconfinare i caccia russi. È un interlocutore cruciale e insidioso, per il quale l’Ue dovrebbe considerare l’opportunità di «zona di sicurezza» che scavalli in Siria, «equipaggiare e formare» chi dovrebbe gestirla e stabilire una «no fly zone» con cui proteggerla. Servirebbe per la prima accoglienza ulteriore, in attesa di sviluppi futuri.

Ecco la proposta. Erdogan la rilancia con una determinazione sottolineata da una quasi totale assenza di sorrisi. L’unica battuta la concede al presidente dell’Europarlamento, Martin Schulz. Il tedesco si tocca la giacca e sottolinea scherzando gli effetti immaginabili della buona cucina belga. «Si vede», gli risponde l’altro, secco. E lì finisce. Perché il presidente turco non perderà da quel momento occasione per esprimere perplessità per come l’Europa ha gestito la crisi dei rifugiati, se non lo stesso conflitto siriano. «Noi ospitiamo oltre due milioni di profughi», dice al termine dell’incontro col capo del Consiglio, il polacco Donald Tusk, ricordando che l’Unione ha accolto poche centinaia di migliaia. «Abbiamo speso 17,8 miliardi per ospitarli e ricevuto solo 417 milioni di aiuti», accusa.

Un miliardo per i rifugiati
I Ventotto hanno stanziato «almeno un miliardo» per Ankara, tuttavia Erdogan fa finta di nulla. Vuole chiaramente che l’Unione faccia di più. Vuole che la sua prospettiva di adesione sia trattata seriamente, che le frequenti accuse di autoritarismo e violazione dei diritti siano riconsiderate. Gli servono come merce da vendere in vista delle elezioni di inizio novembre. In cambio è disposto a dialogare sull’apertura di nuovi campi profughi, il che sarebbe un passo di rilievo. «Ieri sera a cena, insieme con Juncker, il turco si è trovato d’accordo sul principio di un piano d’azione comune sui migranti». Il dialogo potrebbe partire a stretto giro con l’istituzione di un gruppo di lavoro.

Una fonte diplomatica sottolinea che, in cambio, Erdogan chiederà all’Europa di togliere ogni ostacolo a uno dei dossier ai quali la Turchia tiene di più, la liberalizzazione dei visti turistici. Ma non è la sola. «La Turchia continua a condurre i suoi raid contro l’Isis e contro (i curdi del) Pkk», sottolineando che «l’uno è un gruppo terrorista come l’altro» e che l’Europa non deve pensare che esista «un terrorismo buono e uno cattivo». Argomento più complesso, questo. Tant’è che il presidente precisa che l’intento «non è combattere contro un gruppo etnico o una identità». 
È materiale di riflessione. Come il fatto che, sinora, la Turchia non è iscritta dall’Ue nella lista dei paesi sicuri per i rimpatri dei clandestini. E come la proposta per una «zona di sicurezza» fra Turchia e Siria che non convince tutti. «Servirebbe l’egida Onu», sottolinea Martin Schulz. «Siamo direttamente coinvolti nella questione – avverte però Erdogan – con 911 km di confini condivisi con la Siria e 315 con l’Iraq, ma non abbiamo mai chiuso le porte in faccia a chi fugge». Sottinteso è il pensiero più duro e minaccioso del turco: «E l’Europa?»