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 2015  ottobre 03 Sabato calendario

Inchiesta su Roma. Prima di tutto sono gli uffici a non funzionare, dato che i burocrati si pestano i piedi uno con l’altro

Può un Comune che deve fare i salti mortali perfino per cambiare le lampadine spendere centoventicinquemila euro per rifare un bagno pubblico? Ovvio: non può. Ma il preventivo quello era. E quando c’è stato chi ha fatto notare ai tecnici comunali che forse era un po’ esagerato, costui si è sentito rispondere che oltre ai tubi bisognava rifare «il look» della toilette. I turisti avrebbero sicuramente apprezzato. I contribuenti italiani magari meno. La follia è stata dunque archiviata come tale. Ma il semplice fatto che qualcuno abbia potuto pensarci seriamente dà la misura del modo in cui si sta affrontando il Giubileo.

A due mesi dalla partenza, 8 dicembre 2015, la città di Roma è in ginocchio. Le strade che attendono milioni di pellegrini sono un percorso di guerra e il trasporto pubblico versa in condizioni disastrose. Giovedì sul lungotevere del Vaticano un malandato autobus dell’Atac è sprofondato in una buca e ha perso per l’urto lo sportello del vano laterale che ha colpito una signora in motorino, ferendola gravemente. Ci vorrebbe prontezza di riflessi e sangue freddo. Invece il Comune di Roma sembra nel pallone. Al punto da lasciare sconcertato il presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone. Le parole che ha pronunciato il primo ottobre uscendo dall’assemblea dei costruttori romani non lasciano spazio a dubbi: «Negli uffici c’è qualcosa che non quadra. Non abbiamo capito chi sono i nostri interlocutori».
Le direzioni battibeccano. I burocrati si pestano i piedi. Non esiste una struttura per il coordinamento degli interventi. Risultato: confusione, inefficienze e ritardi. Dice tutto la peripezia di un percorso giubilare che dovrebbe consentire di andare a piedi o in bicicletta dal Colosseo alla tomba di Cecilia Metella senza il rischio di finire arrotati dalle auto che sfrecciano sul primo tratto dell’Appia Antica. La cosa risale a due mesi fa. Ma due mesi non sono bastati per fare il progetto, che poi consiste in un segno rosso sulla carta.
E pensare che qui non ci sono in ballo grandi opere, ma soltanto modesti interventi di manutenzione per evitare che succedano ancora fatti come quello accaduto giovedì. All’inizio di agosto la giunta del sindaco Ignazio Marino aveva approvato un piano molto più ambizioso: 135 interventi. C’era di tutto. Dal rifacimento delle strade di mezza città alla «realizzazione di rastrelliere» per «10 mila posti nelle stazioni della metropolitana, nodi del trasporto pubblico, aree basilicali, siti di interesse turistico e giubilare».
Poi però hanno fatto i conti in tasca, scoprendo che oltre al poco tempo a disposizione c’erano anche pochi spiccioli. Una cinquantina di milioni, a dire tanto. E da 135 si è passati a 28. Senza le rastrelliere. Di quei 28 ne sono stati sbloccati finora 13, non senza qualche seria difficoltà. Perché certi bandi erano scritti male, e in alcuni casi sono stati riscritti anche peggio. Se nessuno dei 13 lavori bollinati risulta ancora partito, la ragione eccola.
Ma i problemi non si esauriscono qui. Il tempo è così ristretto che diventa impossibile fare quelle opere con le tradizionali gare d’appalto. Bisogna così ricorrere alle «procedure negoziate»: una specie di trattativa privata, ma condotta con criteri con la minor discrezionalità possibile. Si sorteggiano trenta ditte fra quelle iscritte al Siproneg, nome in codice dell’elenco degli appaltatori del Comune di Roma (fra i quali c’è anche la cooperativa 29 giugno che fu di Salvatore Buzzi), e queste vengono invitate a una gara informale. Che viene poi aggiudicata all’offerta media.
Tutto questo si trascina dietro un bel paradosso. Dopo lo scandalo di Mafia capitale, e dopo che la relazione dell’autorità anticorruzione ha stigmatizzato il fatto che il Comune di Roma abbia continuato imperterrito nella pratica deprecabile delle procedure negoziate passate addirittura dal 36% del totale con la giunta Alemanno all’87% con la giunta Marino, i lavori del Giubileo si faranno anch’essi senza gara.
Va detto che il sistema è assolutamente legale. Per poterlo utilizzare nei casi di urgenza come questo è però necessario che gli importi dei singoli appalti siano inferiori alla soglia del milione oltre al quale scatta comunque la prescrizione di gara europea. E qui casca l’asino. Perché certi trucchetti sono davvero poco digeribili. Per esempio, quelli che riguardano la pavimentazione dei tratti dissestati del Lungotevere. Il costo sarebbe di 11 milioni e mezzo, ma per aggirare l’obbligo europeo si è diviso il tutto per dodici. Un appalto diverso ogni volta che la stessa strada cambia nome: Lungotevere Pierleoni 930 mila, Lungotevere Aventino 900 mila, Lungotevere Testaccio 900 mila, Lungotevere Michelangelo 960 mila, Lungotevere Prati 940 mila... Un discreto pasticcio. Sul quale Cantone di sicuro avrà qualcosa da eccepire.
In questa baraonda è impossibile non notare il sublime distacco con cui il governo di Matteo Renzi osserva la faccenda. Quasi come se un evento del genere riguardasse soltanto una grande città anziché la capitale e il Paese intero. E il rischio di un flop del Giubileo, dopo aver salvato l’Expo in zona Cesarini, non fosse una figuraccia planetaria per tutta l’Italia bensì l’ennesima magra del sindaco. Prima il governo ha fatto trapelare il proposito di mettere la cosa nelle mani di un commissario. Poi ha affiancato a Marino l’ex capo della protezione civile Gabrielli, sebbene con i soli poteri di coordinare la sicurezza. E la sorveglianza affidata al sottosegretario Carlo De Vincenti è impalpabile. Quanto su questa non velata indifferenza influiscano i giudizi non proprio lusinghieri di Renzi sulla gestione Marino è difficile dire. Se però siamo arrivati a ciò è anche perché il premier ci ha messo del suo. Le risorse, prima di tutto. Marino non avrebbe potuto certo aspirare alla stesso diluvio di soldi che inondò Roma ai tempi del Giubileo del 2000. Non ha avuto però neppure le briciole. Poi i tempi, che già non erano proprio larghi considerato che il Papa l’aveva annunciato a marzo. Il decreto del governo era atteso per la fine di luglio. Invece è arrivato a fine agosto. Due sgambetti ineguagliabili al sindaco del Pd meno amato dal Pd. Ma a quanto pare non troppo amato, dopo la trasferta a Filadelfia, anche dal principale dell’operazione Giubileo della misericordia: Francesco.
Per Renzi è arrivato il momento di una riflessione seria. E di prendere in mano la situazione.
(1-continua)