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 2015  settembre 04 Venerdì calendario

La busta paga della bracciante pugliese Paola Clemente. La rabbia del marito: «È morta per 27 euro al giorno». I sindacati contro le agenzie interinali: gliene spettavano 49. La Procura ha aperto un fascicolo sul decesso avvenuto nelle campagne di Andria

«Tra i mille interrogativi che mi pongo e ai quali non riesco a dare risposta, ritengo che sia un’assurdità, nel 2015, morire sul posto di lavoro per guadagnare a malapena 27 euro al giorno». Far luce su come ciò sia stato possibile è la richiesta che Stefano Arcuri, marito di Paola Clemente, bracciante agricola 49enne morta il 13 luglio scorso nelle campagne di Andria, pone al procuratore del tribunale di Trani. Ventisette euro al giorno che, per i sindacati, «sono circa la metà di quanto dovuto per il lavoro che stava facendo Paola – spiega Giuseppe Deleonardis, segretario Flai Cgil Puglia – perché per il cosiddetto acinino dell’uva la paga è 49 euro».
Su questa differenza si stanno interrogando in procura, a Trani, cercando anche di far luce sul gioco degli acconti e dei saldi contabilizzati in busta paga dalle agenzie interinali alle migliaia di braccianti che – in Puglia e non solo – lavorano come la sfortunata donna tarantina un’intera giornata nei campi per portare a casa poche decine di euro. Paola, come si legge nella sua busta paga, nello scorso mese di novembre ha visto contabilizzare a saldo appena 257,38 euro. Perché nella parte alta dello stesso cedolino sono evidenziate trattenute per acconto stipendi pari a 727 euro che portano il totale trattenute a 829 euro e il saldo finale a 257 euro dai 1.489 euro lordi. La busta paga di dieci mesi fa era a carico dell’agenzia per il lavoro Quanta. «Ma quando la signora Clemente è morta – specifica l’avvocato Vito Miccolis che assiste il marito di Paola – lavorava per Inforgroup: abbiamo fiducia che anche in tal caso la procura farà piena luce su eventuali meccanismi di acconti e saldi».
Per intanto vogliono vederci chiaro i sindacati: «Sollevammo il problema lo scorso 8 luglio – spiega Deleonardis – quindi prima ancora della morte di Paola, perché diversi lavoratori, una sessantina, vantano crediti di circa 500 euro che, pur presenti in busta paga, non sono mai stati corrisposti». E nei giorni scorsi, il primo settembre, la Flai Cgil ha dato l’ultimatum a Quanta: «Premesso che l’aspetto retributivo e relativi conguagli dei lavoratori assunti è in capo all’agenzia e non alle aziende utilizzatrici – si legge nella lettera inviata all’agenzia interinale con sede a Milano – che, come da voi comunicatoci, si erano assunte l’onere di conguagliare ai lavoratori il dovuto, non avendo i lavoratori a tutt’oggi ricevuto alcun rimborso, se entro 5 giorni non avremo notizie positive in merito, ci vedremo nostro malgrado costretti ad adire le vie legali e a segnalare le inadempienze alla Guardia di finanza».
Tra acconti e saldi, oneri in capo alle agenzie interinali o alle aziende utilizzatrici, il caporalato moderno sembra così nascondersi tra le pieghe di una somministrazione del lavoro apparentemente regolare. «Non solo apparentemente – spiega il vice presidente di Quanta Vincenzo Mattina – ma anche nella realtà. Se dobbiamo dare qualcosa ai lavoratori, la daremo, chiariremo tutto. Come abbiamo già fatto nel 2014 dopo le segnalazioni dell’ispettorato del lavoro: abbiamo chiesto all’Inps di normalizzare tutte le posizioni non regolari, in gran parte sottoinquadramenti dei lavoratori. Il ravvedimento, per la sola Puglia, ci è già costato 120 mila euro per la prima tranche e complessivamente ce ne costerà 400 mila». A dimostrazione che qualcosa, nelle campagne del Tavoliere, non quadra. «Sì – spiega ancora Mattina – e ne avemmo la percezione nel 2013, due anni dopo la nostra decisione di entrare nel settore agricolo, prevalentemente in Puglia ma anche in Sicilia e Lazio. Inviammo subito tre persone da Milano a Rutigliano e alla fine del nostro screening, due dipendenti, denunciati anche per concorrenza sleale perché avevano preso contati con altre agenzie, andarono a casa». Mai pensato che agissero da caporali? «Sì, il dubbio ci è sorto – conclude Mattina – in particolare che utilizzassero la cosiddetta “paga di piazza”».
Che non è il salario contrattuale (applicato in Puglia dal 20% delle aziende, secondo la Flai) ma la consuetudine che prevede il sottosalario per immigrati e donne, tanto più basso quanto più a Sud si va. La risposta alla domanda di Stefano – perché morire per 27 euro – è in questa amara verità.