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 2015  settembre 04 Venerdì calendario

Le ombre sulla morte di Claudio Salini, schiantatosi a bordo della sua Porsche domenica sera su viale Cristoforo Colombo. L’ipotesi è quella del sabotaggio dell’auto. Il costruttore era parte lesa in un processo per estorsione: tre casertani, agli arresti, pretendevano da lui 1,8 milioni dopo aver perso degli appalti. Le perizie e i dubbi dei familiari

Per ora è solo uno scrupolo. I carabinieri analizzeranno i tabulati telefonici dell’imprenditore Claudio Salini, morto in un incidente stradale domenica sera su viale Cristoforo Colombo. Un accertamento tecnico per capire con chi il costruttore quarantenne – appena tornato dalle vacanze in Sardegna – abbia parlato prima di salire sulla Porsche ed eventualmente anche durante il suo tragitto lungo la Colombo. Il sospetto è che Salini possa essere stato minacciato da qualcuno. E che la sua Porsche possa essere stata sabotata. Ma sono solo sospetti, appunto. A colpire è soprattutto la coincidenza che il 16 settembre prossimo l’imprenditore avrebbe dovuto testimoniare nella prima udienza del processo contro tre casertani che aveva fatto arrestare, con la sua denuncia, alla fine dell’anno scorso per tentata estorsione. Personaggi considerati dagli investigatori dell’Arma vicini agli ambienti della camorra e che pretendevano un risarcimento di 1,8 milioni di euro perché Salini aveva tolto a uno di loro il sub appalto per lavori al polo museale di Bergamo e al nuovo centro affari di Arezzo. Il terzetto aveva anche organizzato un sequestro lampo del costruttore. Per il momento, sottolinea chi indaga sull’incidente, non ci sono elementi per collegare direttamente la morte di Salini a quella vicenda, ma resta il fatto che Salini era rimasto molto scosso.
E adesso nulla viene lasciato al caso. Sebbene l’ipotesi principale rimanga quella di un’uscita di strada provocata dall’alta velocità, la procura, che ha delegato i carabinieri – ma anche l’avvocato Oliviero De Carolis, legale della famiglia Salini —, vuole fare piena luce su tutti gli aspetti di questa storia. Cosa è successo all’imprenditore nei pochi chilometri – meno di tre – percorsi sulla Colombo prima di morire? È possibile che abbia incrociato qualcuno che l’ha spaventato? Era stato minacciato di nuovo, come gli era già accaduto pochi mesi prima? L’avvocato De Carolis ha chiesto una perizia sui resti della Porsche 911 acquistata da poco, che Salini aveva lasciato per un mese nel complesso residenziale dove abitava a Porta San Sebastiano. Un luogo controllato, dotato di videosorveglianza. Gli esami serviranno per valutare anche l’ipotesi del sabotaggio – presa in considerazione dall’entourage del costruttore —, oltre a quella di un guasto meccanico. Altri accertamenti saranno svolti sulle registrazioni delle numerose telecamere puntate sulla Colombo, dall’abitazione dell’imprenditore al luogo della sua morte. Proprio in quel punto, ieri mattina, sempre su ordine della procura, una dozzina di agenti della polizia municipale ha bloccato la strada per ripetere i rilievi.
I vigili urbani hanno misurato distanze, analizzato punti d’impatto (alberi e barriera in cemento), fotografato di nuovo il profondo avvallamento che avrebbe fatto decollare la Porsche lanciata a forte velocità. Ufficialmente a provocare l’incidente sarebbe stata la combinazione fra andatura della vettura sportiva e precarie condizioni dell’asfalto, su una strada – la Colombo – teatro di molti incidenti mortali proprio per problemi di manutenzione e mancato rispetto dei limiti. L’ultima tragedia mercoledì notte: un motociclista 36enne deceduto vicino a Ostia dopo lo schianto contro un albero. Ma la tragica fine di Salini potrebbe nascondere anche dell’altro.