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 2015  settembre 04 Venerdì calendario

In bilico tra eredità e futuro: ecco come la Rai può diventare una «media company». I modelli da seguire sono la Bbc, la giapponese Nhk e la canadese Cbc. Cosa dice il documento che il direttore generale della Rai Antonio Campo Dall’Orto ha presentato al consiglio di amministrazione

Una Rai che, insieme agli altri servizi pubblici europei, deve effettuare la trasformazione da broadcaster digitale in una media company nella quale coesistano l’ideazione, la produzione e la diffusione di contenuti che devono “nascere” adatti a tutte le piattaforme distributive.
È l’asse di riferimento, nella quale sono individuati come leader la Bbc, la giapponese NHK e la canadese CBC, che contrassegna il documento che il direttore generale della Rai, Antonio Campo Dall’Orto, ha presentato al consiglio di amministrazione, intitolato “Gruppo Rai – contesto di riferimento e posizionamento competitivo”.
L’offerta della Rai. Il servizio pubblico ha una delle maggiori offerte di canali televisivi in Europa: sono 17 (troppi?) i canali digitali in onda, escludendo quelli ritrasmessi in Alta Definizione ed il pan-europeo Euronews, nel quale la Rai mantiene una quota del 20,5%. Oltre alle tre reti generaliste, vi sono quattro canali definiti “semi-generalisti” (Rai4, Rai5, RaiMovie e RaiPremium), sette tematici (da RaiSport, che da metà settembre avrà la versione in HD, a RaiStoria, passando per RaiNews24) e tre internazionali. In Gran Bretagna la Bbc ha 15 canali televisivi digitali nazionali, ma ben 17 internazionali. Nove sono quelli nazionali della tv pubblica francese, più i due co-prodotti con la Germania (Arte). A questa offerta tv, la Rai affianca dieci canali radiofonici tra generalisti, news, web e pubblica utilità, oltre a tre grandi portali sul web: Rai.it, RaiNews e Rai.tv. Sono quattro i centri di produzione (Milano, Torino, Roma e Napoli) e ventuno le redazioni in altrettante sedi regionali (da accorpare o no?).
La concessione. Sarà il principale momento di confronto tra Governo, Parlamento e nuovo vertice. Quella attuale scade nel maggio 2016. Il contratto di servizio 2012-2015 non è mai entrato in vigore: la legge approvata al Senato sulla governance della Rai lo prevede quinquennale, che arrivi sino a metà della scadenza decennale della concessione. Alla Rai vengono indicati anche le quote e i generi di programmazione, al contrario delle altre tv pubbliche europee (solo canali e linee editoriali). I nuovi vertici proveranno a superare tale impostazione dirigista?
Il canone. La sua riforma sarà l’altra grande sfida istituzionale per i nuovi vertici. L’importo di quello ordinario è il più basso d’Europa (113,5 euro) e il tasso di evasione è il più elevato, pari al 27% delle famiglie. Sul canone il governo ha trattenuto 144 milioni nel 2014 e ne tratterà il 5% dal 2015 in poi.
Il contesto competitivo. È sempre più complesso, tra offerte gratuite, pay tv e video on demand, in attesa dell’arrivo in ottobre di Netflix e delle opportunità che la Rai è pronta a cogliere dall’annunciato oscuramento dei canali Mediaset su Sky (Rai4 sul canale 4 di Sky?). Il consumo della tv ha visto, negli anni, l’affermazione progressiva dei canali specializzati: nel 2014 valevano il 40% dell’ascolto totale rispetto al 12,5% del 2005. Le tv generaliste conservano il 60% dell’audience nel giorno medio. Questo, in un mercato che nel 2005 era composto da 60 canali e oggi da 270. La permanenza media davanti alla tv, nonostante il Web, non cala (5,2 ore al giorno nel 2013 come nel 2014).
Leader negli ascolti. La Rai lo è, sia sull’intera giornata sia in prima serata. RaiUno, nel 2014, ha il 17,3% di ascolto nel giorno medio rispetto al 15,3% di Canale 5. RaiDue ha il 6,6% e RaiTre il 6,7%, con Italia1 al 6% e Rete4 al 4,9 per cento. I canali specializzati della Rai hanno il 6,8% dell’ascolto rispetto al 6,4% di Mediaset e al 5,8% di Discovery, vera new entry di questi anni. In prima serata, Rai1 ha il 19,2% rispetto al 15,4% di Canale5.
Il posizionamento competitivo. Il documento Campo Dall’Orto lo basa su sei pilastri: le news, con 24 edizioni al giorno dei Tg; l’intrattenimento, con oltre 6mila ore di programmazione; lo sport con oltre 17.500 ore annue; i film e la fiction con oltre 5.500 ore di fiction prodotte con apporto Rai; la Cultura, con Rai5, RaiStoria e RaiScuola; e i Ragazzi, con oltre 2mila ore di programmazione. Si tratterà di trovare nuovi formati, anche ibridi, per impedire che i pilastri scricchiolino, con la metamorfosi di un pubblico sempre più co-protagonista dell’offerta.
La radio, il cinema, Internet. La Rai è leader – ma è l’unico gruppo con tre reti nazionali – con l’11,3% di quota di ascolto complessivo. Radio1, però, è solo al sesto posto degli ascolti per singolo canale radiofonico nel 2014, con il 5,2% di quota e Radio2 al settimo, con il 4 per cento.
RaiCinema, con 01 Distribution, ha una quota del 13% nella distribuzione nazionale, dietro a Warner e Universal,davanti a Fox, Disney e Medusa. Ha immesso sul mercato 27 pellicole di cui ben 22 italiane. Sul Web i leader, inarrivabili, sono Google e Facebook. La Rai, per pagine viste e per utenti unici, deve recuperare terreno, piuttosto, rispetto ai principali competitor nazionali, Mediaset inclusa.
Il personale. È una Rai “vecchia”, anche se esperta. Solo il 2% del personale a tempo indeterminato ha meno di trent’anni. L’8% ha più di 60 anni. Il 18% è tra i 55 e i 60. È uno dei punti deboli di un’azienda che vuol diventare media company, insieme all’anzianità dei suoi ascolti (fenomeno non analizzato nel documento Campo Dall’Orto). Ed è un organico che cresce: il gruppo Rai, nel 2015, supererà il 12mila dipendenti a tempo indeterminato (11.661 nel 2012). Questo, in particolare, per l’assorbimento dei precari.
Il conto economico. Il budget 2015, anno senza grandi eventi sportivi, dovrebbe chiudere con 18 milioni di perdita, a causa della diminuzione del canone, stimata in 87 milioni al lordo dell’Iva. Altrimenti il risultato sarebbe positivo per una cinquantina di milioni. Senza le plusvalenze, per 228 milioni, dovute alla quotazione parziale di RaiWay nel 2014. Anno in cui, però, la diminuzione del canone è stata di 144 milioni e i grandi eventi sportivi sono costati 95 milioni. Nel budget 2015 calano leggermente i ricavi da canone e la pubblicità è stazionaria a 675 milioni (di cui 556 dalla tv generalista e 76 dai canali specializzati). I ricavi commerciali scendono:nel 2014 sono stati incassati 18 milioni cedendo diritti ai club interessati. I costi esterni per beni e servizi calano ma cresce il costo del personale.
I problemi di bilancio arriveranno nel 2016 con le Olimpiadi (nel 2020 la Rai non le avrà più) e gli Europei di calcio.