il Fatto Quotidiano, 1 settembre 2015
Il cinema visto dalla tavola. In un libro Laura Delli Colli incrocia la macchina da presa con la forchetta, da piatti poveri di Roma Città Aperte alle polpette delle Fate ignoranti. Perché il gusto del cinema esiste, e quello del cinema italiano è addirittura inconfondibile: surclassiamo i cugini francesi, solo gli asiatici sanno tenerci testa
Che sarebbe il cinema di Moretti senza la Sacher, il Montblanc, la Nutella e, per venire al recente Mia madre, un piatto di pasta corta preparato in casa a rimpiazzare il tristissimo menu ospedaliero? E, siamo seri, l’estatica, quasi mitologica ammirazione che nutriamo per il timballo non è forse debitrice del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa e Visconti?
Ancora, La ricotta proletaria, passionale e pasoliniana, il cuore di drago impiattato per Salma Hayek nel Racconto dei racconti di Garrone, il cardinalizio coniglio alla ligure de La grande bellezza, le tavolate di Ozpetek e la cioccolata apri-stomaco di Ugo Tognazzi (La grande abbuffata), che sono, se non immagini cucinate per il nostro palato?
C’È UN PROBLEMA: fatto salvo l’osceno ed estemporaneo esperimento dell’Odorama, il cinema all’olfatto, e al gusto, ha sempre dovuto rinunciare, ma non per questo i fornelli non sono stati accesi, la pasta buttata, i manicaretti portati in tavola, pardon, in sala. Sullo schermo si mangia, davanti allo schermo si crepa. D’invidia. Vedere ma non toccare, soprattutto, vedere ma non saziarsi: è la dura legge della settima arte, una sadica sinestesia che ci tiene a stecchetto da almeno 120 anni, da Le repas de bébé (1895) dei fratelli Lumière. Eppure, una giornalista che al connubio cinema e cibo ha dedicato almeno tre lustri ne è convinta, il gusto del cinema esiste, e quello del cinema italiano è addirittura inconfondibile: surclassiamo i cugini francesi, solo gli asiatici sanno tenerci testa.
Strappato di bocca e consegnato al mito, Pane, amore e fantasia, il film di Luigi Comencini del ’53 con De Sica e la Lollobrigida, ha affidato a un alimentare scambio di battute il canone stesso della dieta cinematografica tricolore: Che te magni? – Pane. – E che ci metti dentro? – Fantasia, marescia’…
Pane film e fantasia, il nuovo libro di Laura Delli Colli, incrocia macchina da presa e forchetta, coglie prelibatezze di ieri, dalla minestra povera di Roma città aperta alle salsicce con fagioli di Per un pugno di dollari, di oggi, dalle polpette de Le Fate ignoranti ai tordi al Barolo di Questione di cuore, e aggiunge un posto a tavola per il domani: “Dalla fame del dopoguerra all’opulenza Anni 80 e 90, fino all’attuale chilometro zero: si torna, e si tornerà sempre più, a fare la spesa con attenzione e oculatezza, per ragioni sia economiche che di qualità. Lo stato dell’arte è glocal, e lo stato di salute del nostro cibo e quello del nostro cinema dovrebbero andare di pari passo”.
Invece no. La cronaca segnala sovente contraffazioni e taroccamenti (il famigerato Parmesan…) ai danni delle nostrane eccellenze alimentari e culinarie, ma la mistificazione più devastante è un’altra: “Dovremmo far riscoprire la genuinità, l’essenza del nostro essere italiani, non farci dipingere ancora quale paese della pizza e del mandolino. Pensiamo agli americani To Rome with Love di Woody Allen o Mangia, prega, ama con Julia Roberts: hanno fatto un terribile servizio alla nostra cucina e, soprattutto, al nostro paese. È un’idea difficile da smontare quella del piatto di spaghetti fumante, ma anche all’estero si deve andare oltre i classici, a un’Italia che non esiste più e, forse, non è mai esistita”. Del resto, a scorrere la produzione corrente, “il pane è cambiato, la crisi si vede anche nel cinema italiano: la tavola è meno gourmet, spesso è un mero artificio narrativo, una garanzia di coralità”.
Ma Delli Colli a capotavola tiene sempre il cinema, perché in televisione “dalle nove del mattino a tarda sera va in scena un’indigestione quotidiana, un cibo molto artificiale: la presenza di uno chef in studio, questa sorta di archistar dei fornelli, gratifica il pubblico, ma solo virtualmente. E pazienza se nella realtà lo spettatore non sa farsi neppure un piatto di pasta…”.
Per rimediare, c’è questo libro, che prende dal grande schermo e rimette in tavola con immagini preziose e ricette succulente estrapolate da un centinaio di film, ma “senza velleità da Baedeker di cultura gastronomica o tradizionale ricettario”.
LA PAROLA chiave è, appunto, fantasia, e chissà se i quattro italiani in concorso alla Mostra di Venezia sapranno farla propria: “Solo da Guadagnino (A Bigger Splash) è lecito aspettarsi il guizzo del gourmet, Gaudino (Per amor vostro), Messina (L’attesa) e Bellocchio (Sangue del mio sangue) credo apparecchieranno una tavola più sofferente, emarginata”.
Meglio, dunque, ritornare a quando eravamo grandi, con due aneddoti particolarmente cari alla Delli Colli: Marcello Mastroianni che sul set de I soliti ignoti volle sostituire la pasta e fagioli della sceneggiatura con una bella pasta e ceci alla romana, condita con olio e rosmarino; Sergio Leone che quando un ponte esplose anzitempo sul set di Giù la testa rispose al preoccupato “E mo’che famo?” della squadra con l’eterno italiano “Annamo a magnà!”.