Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  settembre 01 Martedì calendario

L’addio a Wes Craven, il fabbricatore di incubi che diede vita a Freddy Krueger e a “Scream” è morto a 76 anni. «Era intelligentissimo, aveva una personalità molto forte e una creatività inesauribile. E un grande senso dell’ironia». Dario Argento lo ricorda così


«Ero amico di Wes Craven, l’avevo incontrato spesso». Dario Argento conosceva bene il re dell’horror americano e riconosce il ruolo fondamentale che ha avuto per il genere cinematografico che ha dato la fama a entrambi. «L’ultima volta l’avrò visto più o meno sette anni fa», racconta il regista romano, «quando ero in America per lavorare alla post-produzione di uno dei miei film e partecipai a una cena in suo onore. Di Wes ammiravo molte cose: era intelligentissimo, aveva una personalità molto forte e una creatività inesauribile. E un grande senso dell’ironia».
Che mostrò anche nei film, non è vero? Soprattutto nel personaggio orrendamente buffo di Freddy Krueger, che sarebbe diventato un oggetto di culto trans-generazionale...
«I primi film, L’ultima casa a sinistra o Le colline hanno gli occhi, erano più classici, miravano soprattutto a far paura. Ma con i due franchise Nightmare e Scream l’ironia diventò una costante, lo splatter andava sempre di pari passo con una robusta dose di humour. E poi non bisogna dimenticare quanto fosse bravo Wes con la macchina da presa: i suoi film erano pieni di stile».
All’inizio degli anni Settanta un gruppo di registi, più o meno coetanei, rivoluzionò il canone del cinema di paura. Lei fu uno dei più innovativi in Europa, con “L’uccello dalle piume di cristallo” nel 1970; in America c’erano Craven, John Carpenter, George Romero, Tobe Hooper. Si può dire che eravate una specie di “nouvelle vague” dell’horror?
«In un certo senso sì, ma eravamo anche molto differenti tra noi. Voglio dire la verità: gli altri registi americani di film di paura non amavano Craven. Non perché non lo considerassero bravo. Gli rimproveravano di essere troppo commerciale, di essersi arricchito come produttore e con la vendita dei gadget di Freddy Krueger, ad esempio (anche quando il personaggio gli fu sottratto dalla produzione, il marchio restava suo). Le racconto un episodio: un giorno ero in America per una serie televisiva in cui lavoravano anche John Carpenter e altri colleghi e chiesi notizie di Craven. “Lui non c’è”, mi risposero, “sta chiuso nella sua villa a contare montagne di soldi”. Certo, era una persona invidiata; e non solo per i soldi, ma anche perché aveva un gran carattere, era molto sicuro di sé. Però era anche un tipo vitale, cordiale e generoso».
In anni recenti, malattia a parte, Craven era apparso un po’ defilato, i suoi film più recenti avevano avuto un successo modesto. Crede che Hollywood lo avesse messo da parte?
«Questo non lo direi. Continuava a fare cinema, magari con altri mezzi, e aveva un sacco di idee. Non tutte di successo: come quella di un condannato a morte che tornava nel mondo dei vivi, che non funzionò. Però faceva di tutto: dirigeva, scriveva sceneggiature, produceva. Lavorava molto anche per il piccolo schermo: con tv-movie e serie come Ai confini della realtà, cinque episodi del 1985, e un’altra serie televisiva derivata da Scream. Era precisamente quello che, come ho detto, gli addebitavano i colleghi, rimproverandolo di applicare una logica troppo industriale. Malgrado tutto questo, però, era rimasto sempre un indipendente, quasi un isolato. E cercava sempre di rinnovarsi».