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 2015  settembre 01 Martedì calendario

I dubbi di Bruxelles sulla legge di stabilità. Non arriveranno commenti ufficiali prima che in ottobre il Consiglio dei ministri a Roma vari la manovra. Tutti però nella Commissione europea hanno notato i punti che, a prima vista, sembrano in contraddizione con le raccomandazioni che l’Ecofin ha appena rivolto all’Italia. Il più delicato riguarda la tassazione degli immobili...

Bruxelles Se c’è un’area dell’economia europea che in questi anni ha ricevuto uno stimolo keynesiano – crescita grazie ai lavori pubblici – essa è vicina al cuore delle decisioni. La più vicina: il quartiere di Bruxelles che ospita le istituzioni europee continua a essere un cantiere aperto di grandi opere. Il nuovo palazzo del Consiglio europeo. Una stazione ferroviaria collegata all’aeroporto. Il cortile del Berlaymont, sede della Commissione. Il rumore di fondo dei martelli pneumatici è ovunque e, con la sua eco dissonante, rischia di rivelarsi una colonna sonora stranamente appropriata per certi colloqui che aspettano il governo italiano qui.
Sulla Legge di stabilità dell’Italia non c’è ancora nessuna valutazione a Bruxelles, per un motivo fondamentale: non è stata presentata. Non ci sono i numeri dell’intervento, né i dettagli sulle misure. Dagli uffici della Commissione europea e del Consiglio però le indiscrezioni e le dichiarazioni dall’Italia, a partire da quelle di Matteo Renzi, vengono registrate non senza una certa perplessità. Sia sulla sostanza, che sul metodo.
Da Bruxelles non arriveranno commenti ufficiali prima che in ottobre il Consiglio dei ministri a Roma vari la manovra. Tutti però nella Commissione europea hanno notato i punti che, a prima vista, sembrano in contraddizione con le raccomandazioni che l’Ecofin ha appena rivolto all’Italia. Il più delicato riguarda la tassazione degli immobili, quella che Renzi vuole cancellare dal 2016 per quanto riguarda le prime case: abolizione della Tasi e dell’Imu, le tasse che colpiscono le abitazioni ordinarie e quelle di valore.
Non è la direzione che la Commissione e l’Ecofin avevano raccomandato. Piuttosto, le istituzioni comunitarie propongono il contrario: le tasse sulla casa, si ritiene a Bruxelles, sono meno inique e non danneggiano gli investimenti e l’attività economica come quelle sull’occupazione. In un documento formale, i ministri economico-finanziari dell’Unione sostengono che in Italia una delle grandi priorità rimane «alleggerire l’onere fiscale sul lavoro». Per questo viene indicata proprio una di quelle riforme grazie alle quali il governo ha già ottenuto più flessibilità nel giudizio sui suoi conti: per Bruxelles la strada è lo «spostamento del carico fiscale», in particolare dal lavoro agli immobili. Meno tasse sulle buste paga o a carico delle imprese che assumono; e in contropartita una revisione dei valori catastali che oggi, secondo Bruxelles, sono «obsoleti». Il messaggio di fondo è che una riforma del catasto produrrebbe gettito e permetterebbe di varare nuovi sgravi all’occupazione, dopo quelli già decisi quest’anno. La crescita e la creazione di posti ne avrebbero un beneficio, secondo la Commissione e l’Ecofin.
Questa raccomandazione all’Italia è parte di una procedura a cui sono soggetti tutti i Paesi, ed è uscita in Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea il 14 luglio. Discussa, votata e firmata anche dal governo italiano, come parte contraente nell’Ecofin (Pier Carlo Padoan) e del Consiglio europeo (Renzi). Quattro giorni dopo e «con l’inchiostro ancora fresco sul documento», si nota a Bruxelles, Renzi annuncia invece che cancellerà le tasse sulle prima casa: l’opposto di quanto emerso in sei mesi di analisi e confronti a Bruxelles. Per la verità il premier si è impegnato a varare fin da subito anche un ulteriore taglio delle tasse sulle imprese, in vigore dal 2017, e una riduzione del prelievo sulle persone dal 2018. Costo complessivo dell’operazione, 35 miliardi di euro. Visto da Bruxelles, non è l’alleggerimento del carico fiscale che solleva dubbi; è la scelta di rischiare un aumento del deficit proprio adesso che l’economia va meglio e ha meno bisogno di sostegno pubblico. Per i prossimi anni infatti i tagli di spesa annunciati (ma non ancora eseguiti) sono solo di 10 miliardi, meno di un terzo dei tagli delle tasse previsti dal premier. È plausibile dunque che il disavanzo possa aumentare, anche se entro i limiti del 3% del Pil.
Di solito queste operazioni in deficit vengono lanciate nelle fasi di frenata, si osserva a Bruxelles, quando c’è bisogno di uno stimolo da parte del governo. Adesso però l’Italia è in ripresa e dovrebbe approfittare di una fase del genere proprio per andare avanti nel risanamento, non per frenare o tornare indietro. Il rischio è che si trovi con deficit e debito molto più alti, oltre i livelli di sicurezza, la prossima volta che l’economia rallenterà.
È l’ormai celebre discussione sui saldi di bilancio «strutturali», ossia valutati in base allo stato di salute dell’economia in ogni dato momento. Grazie alle riforme avviate nel 2015 il governo ha strappato la possibilità di ridurre il suo deficit «strutturale» di nel 2016 solo dello 0,1% del Pil e non dello 0,5%. Quella concessione è stata una vittoria personale di Matteo Renzi all’inizio di quest’anno: il premier aveva scommesso che l’avrebbe ottenuta direttamente nel confronto con gli altri leader europei, ignorando la lettura rigida delle regole preferita dai funzionari di Bruxelles. Nel 2015 Renzi ha avuto ragione, nell’incredulità di molti. Adesso però strappare una nuova dose di «flessibilità» significa azzerare il risanamento «strutturale» o addirittura innescare la marcia indietro. Il premier sembra di nuovo deciso a cercare una soluzione politica al suo problema, al massimo livello in Europa: ne parlerà lui stesso con il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, e con la cancelliera tedesca Angela Merkel. L’occasione potrebbe arrivare subito dopo il varo della Legge di stabilità, al vertice europeo di metà ottobre a Bruxelles. La musica sullo sfondo, probabilmente, sarà lo stridore dei martelli pneumatici.