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 2015  settembre 01 Martedì calendario

Un’autocritica per «chiudere» la crisi della Borsa. Così Wang Xiaolu, celebre giornalista della rivista economica Caijing, la più prestigiosa del Paese, è comparso in tv per confessare il «crimine» per il quale è stato arrestato già a luglio: «Diffusione di notizie false». Wang, gli occhi bassi, si scusa per aver «turbato il mercato. Non avrei dovuto pubblicare quella notizia in un momento così sensibile, ho causato enormi perdite per il Paese e per gli investitori, sono profondamente dispiaciuto»

La risposta, alla fine, è quella tradizionale: trovare uno o più colpevoli e metterli alla gogna. La crisi sui mercati finanziari – il crollo delle Borse di Shanghai e Shenzhen che da metà giugno hanno perso il 40 per cento del loro valore – per il regime di Pechino è una questione «penale». Così Wang Xiaolu, celebre giornalista della rivista economica Caijing, la più prestigiosa del Paese, è comparso in televisione per confessare il «crimine» per il quale, riferisce l’agenzia di Stato Xinhua, è stato arrestato già a luglio: «Diffusione di notizie false». Wang, gli occhi bassi, ha confessato di aver «turbato il mercato», dunque, nella migliore tradizione dell’autocritica maoista, si scusa: «Non avrei dovuto pubblicare quella notizia in un momento così sensibile, ho causato enormi perdite per il Paese e per gli investitori, sono profondamente dispiaciuto». Wang ha spiegato di aver ottenuto informazioni per «via privata» e di averle utilizzate «per attirare l’attenzione» su di sé. Come se non bastasse, il giornalista ha ammesso di «aver aggiunto giudizi e commenti personali», contribuendo al crollo degli indici. Ma Wang non è l’unico a pagare. Le autorità hanno reso noto di aver arrestato circa 200 persone per lo stesso motivo: «Diffusione di notizie false e tendenziose». Si tratta di blogger e reporter che, come Wang Xiaolu, durante le ultime settimane hanno provato a informare i cittadini sulle turbolenze che stavano divorando i risparmi di milioni di investitori, piccoli (i più) e grandi. Certamente, in molti casi, le notizie pubblicate sapevano più di «caccia alle streghe» che di informazioni serie e verificabili – in più di un’occasione risparmiatori inferociti hanno dato l’assalto ad agenzie di brokeraggio locali, cercando di fare giustizia sommaria dopo aver scoperto di aver perduto tutto. Ma questo testimonia più di una certa «leggerezza», forse inesperienza a proposito di Borse e affini che insider trading. Insomma: la tara arriva dagli analisti internazionali, che hanno giudicato lo scossone cinese «in linea con la realtà dell’economia» del gigante d’Asia. Ma il governo, che si ritiene ed è ritenuto responsabile dell’«armonia» tra Cielo e Terra, doveva intervenire: e l’unico modo (iniezioni di fiumi di denaro fresco a parte) è con le manette. Intanto, il presidente cinese Xi Jinping, che a settembre sarà a Washington per la sua prima visita di Stato, dovrà affrontare un altro grosso problema che può appannare l’immagine di Pechino. Perché l’Amministrazione Obama, rivela il Washington Post, ha in progetto una serie di sanzioni mirate a società e individui della Repubblica popolare che avrebbero beneficiato dei furti di dati operati negli ultimi anni da hacker cinesi – dati che comprendono progetti per impianti nucleari come algoritmi per motori di ricerca. La decisione sarà presa a giorni. E indirizzerà le relazioni future tra le due superpotenze.