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 2015  agosto 28 Venerdì calendario

Non è più lo stesso Bolt ma vince sempre lui. Ancora oro ai Mondiali di Pechino, nei 200 metri. Il mezzo giro di pista è una gara senza storia né legge, un esercizio di stile e potenza. A metterlo a terra però ci pensa un cinese che perde il controllo del monopattino elettrico ma con una capriola e un balzo si rimette in piedi: «Come va? Stai bene?» gli chiede e poi non resiste alla battuta «Confessa, ti ha pagato Gatlin…»

Io, io, io, io. Quattro volte io. Il traguardo dei 200, con il cuore in gola e tutto il mondo dietro, è il privé dove non ammette nessuno. Altro che il sospiro che ha tenuto distinto Bolt da Gatlin nei 100. Il mezzo giro di pista è una gara senza storia né legge, un esercizio di stile e potenza che il Lampo padroneggia come la festa dopo il quarto oro iridato da Berlino 2009 a Pechino 2015 (più due olimpici), con finale grottesco. Sta facendo il giro di pista tra gli applausi, Bolt, quando viene falciato da un goffo cameraman cinese che perde il controllo del monopattino elettrico. Ma nella sua notte, nulla può scalfirlo. «Tutto ok, nessun danno». Capriola all’indietro, balzo per rimettersi in piedi. «Come va? Stai bene?» chiede al cinese. Non resiste alla battuta: «Confessa, ti ha pagato Gatlin…». E poi dicevate che a 29 anni ero vecchio.
Non è più Bolt, però vince sempre lui. Quinta doppietta 100-200 tra Giochi e Mondiali. Non è più Bolt, però estrae dal cilindro la miglior prestazione stagionale (19’’55). L’uomo giusto, nel posto giusto, al momento giusto. Virtù da fuoriclasse assoluto. Non è più Bolt, però l’unico orizzonte possibile per tutti gli altri, fin qui, è la sua schiena. Ha arpionato i 100 di nervi, ristabilendo per un soffio la legalità contro un ex dopato in un’atletica diventata far west, tra sussurri e sospetti. Ha dominato i 200 di classe, perché non c’è nient’altro che gli riesca meglio in questa vita. «Sono la mia specialità, lì mi sento a casa. Nei 200 sono diverso, un’altra persona. E poi avevo sentito Gatlin andare in giro a dire che avrebbe fatto qualcosa di eccezionale… Volevo rispondergli in pista. Ecco, questo titolo è un gran bel regalo per me e per la Giamaica».
Jammin, suonano le casse del Nido in visibilio, che stenta a contenere le due icone dell’isola del reggae e della velocità, Bob Marley e Usain Bolt. Prima, però, ci ha fatto ballare lui. Partenza imperfetta, come sempre. Terzo tempo di reazione (0”147), storia già vista. Poi la curva a sinistra dipinta come solo lui sa fare: tra Bolt e Gatlin c’è l’inglese Hughes, al Lampo bastano due occhiate laterali senza muovere la testa, due sguardi da predatore all’animale morente, per accorgersi che l’americano è cotto. Doveva essere la rivincita, è un’esecuzione. All’imbocco del rettilineo, quando arriva il meglio, Bolt libera nella fase lanciata l’energia che teneva in serbo per Gatlin. Negli ultimi 40 metri dilaga. Come ai bei tempi, dà l’impressione di non spingere fino in fondo. C’è altro margine per Rio? Lo vedremo. Per il momento, c’è Bolt.
La festa è rumorosa, come piace a lui. Si toglie le scarpe, mette al collo la bandiera verdeoro come fosse una cravatta. Si siede a riposare e viene raggiunto dal rivale, con cui scambia una risata. Mentre Gatlin abbraccia Allyson Felix, la fidanzatina d’America oro nei 400 che lo mollò all’epoca della positività, Bolt si spupazza il 23enne sudafricano Anaso Jobodwana, bronzo a sorpresa, che già gli aveva fatto una faccia buffa sul traguardo della semifinale. Poi è roba da popstar in tournée: selfie, foto, autografi, urletti di groupies. C’è anche un invasore pacifico, che viene brutalmente portato via dal servizio di sicurezza.
Bolt bacia la pista che gli diede i natali sette anni fa all’Olimpiade, quando eravamo tutti un po’ più giovani e nessuno pensava di ritrovarlo oggi così scintillante e affilato, meravigliosamente attempato al di là delle apparenze (due stagioni quasi senza correre, quelle in cui, non a caso, Gatlin è rimasto imbattuto), ancora gigione senza apparire, alla soglia dei trent’anni, ridicolo.
Dai Giochi 2008, in questo stadio, al netto della falsa partenza di Daegu 2011, Bolt ha conquistato ogni sprint olimpico e mondiale che ha corso. A questo livello ha ceduto i 200 una sola volta, Osaka 2007, quando Gay era Gay e Bolt non era Bolt. È ancora qui. Longevo come una tartaruga di Montego Bay. Farà la 4x100 (perché dovrebbe rinunciare al terzo oro?). Mai nessuno prima ha incarnato l’atletica con tanta presenza scenica e qualità di prestazioni. Sorride con i denti bianchi e la lingua rosa da giraffa, sparendo molleggiato nella notte di Pechino. E già ci manca.