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 2015  agosto 28 Venerdì calendario

Crisi e corruzione, così il Brasile si è fermato. Il modello economico dell’ex presidente Lula, fra rigore finanziario ed equità sociale, si sta sgretolando anche per l’esposizione verso la Cina. E, se i consensi per la presidenza della Repubblica crollano dal 60% al 9%, le cose si complicano. Il Brasile di Dilma Rousseff vive una stagione difficile

Sotto il Pau Brasil, l’albero che ha dato il nome al Paese, ci sono frutti amari in questa stagione politica. Gli scandali di corruzione, la crisi economica, l’inflazione in crescita. Non è facile governare un Paese in recessione. Se poi il sistema delle tangenti che ha trascinato il Brasile nel fango ha origine nel palazzo di Governo, il quadro si complica. Il successo del modello economico dell’ex presidente Lula, riformismo su un impianto statalista, si è esaurito. E, se i consensi per la presidenza della Repubblica crollano dal 60% al 9%, le cose si complicano. Il Brasile di Dilma Rousseff vive una stagione difficile.
Lo scandalo Lava jato, (autolavaggio), le tangenti pagate da Petrobras al Pt (Partito dei lavoratori), ha scosso l’opinione pubblica e l’intero establishment. Ora il Paese vive un clima di depressione, incertezza e paura. L’ironia resta viva, questo sì. La sconfitta contro la Germania ai campionati del mondo di calcio dello scorso anno è stata digerita anche perché...la Germania non è l’Uruguay. Quella sì, di sconfitta, fu devastante. Il 2-1 a favore dell’Uruguay provocò decine di suicidi e la tragica batosta della Seleção brasiliana venne definita una “Hiroshima tropical”. Era il 1950. Quattro anni dopo il presidente Getulio Vargas, un uomo discusso, ambiguo e controverso, decise di sair da vida para entrar na historia, ovvero di «andarsene dalla vita per entrare nella storia». La figura di Vargas si è cristallizzata su alcuni moloch, “il padre dei poveri”, “il difensore degli umili”, l’uomo dell’orgoglio per «nosso petroleo»il nostro petrolio. L’oro nero che Dilma Rousseff è accusato d’aver trasformato in tangenti a beneficio di un partito, il suo. Eppure Dilma, così la chiamano i brasiliani, non è l’unica responsabile di una crisi declinata in tre capitoli: politico, economico, etico-morale.
La corruzione politica
L’epicentro della crisi è a Brasilia, la capitale del Paese che ha coagulato le inefficienze e la corruzione di un sistema ormai discreditato. Il modello politico brasiliano, la cui narrazione è stata diffusa dall’ex presidente Lula, ora è macchiato di reati gravi ed è emersa la capillarità con cui un sistema clientelare ha drenato risorse economiche e inficiato la credibilità politica di un’intera classe dirigente. Le tangenti hanno inghiottito i vertici del Pt (il Partito dei lavoratori) in una palude di corruttele che per lungo tempo ha coperto operazioni di riciclaggio.
La sua immagine offuscata riflette la dissipazione di quel patrimonio di fiducia, quell’orgulho brasileiro, l’orgoglio brasiliano di cui la Seleção, la nazionale di calcio, è l’espressione più nota all’estero.
Petrobras, la società energetica del Paese, il petrolio dei brasiliani, si è rivelata la centrale da cui si diramava la rete di tangenti, in uscita, verso il sistema politico. «Impossibile che i vertici del Pt ne fossero all’oscuro», secondo l’opposizione. Tutto questo mentre il ciclo economico favorevole si è concluso e la crisi pare assumere tutti i connotati della recessione. Il Pil, nel 2015, subirà una contrazione del 2% secondo le stime degli istituti di ricerca. L’inflazione sale ed è superiore all’8% annuo e il Selic, tasso di interesse di riferimento, è al 14,25%, aumentato per la sesta volta consecutiva dall’autorità di politica monetaria. Non è tutto. Quella straordinaria macchina produttiva che pareva macinare record, primo tra tutti l’inclusione di 40 milioni di brasiliani nella classe media, si è inceppata. La produzione industriale dei primi sei mesi del 2015 è caduta del 6,5%, il dato peggiore degli ultimi cinque anni. Insomma quel processo di deindustrializzazione, che alcuni avevano previsto, pare avviato. Nelson Marconi, economista al Centro di ricerche economiche “Getulio Vargas”, spiega il fenomeno: «È fisiologico per tutte le economie industrializzate, che in genere vi approdano a quota 19mila dollari di reddito pro capite all’anno. Purtroppo in Brasile è avvenuto a quota 7.500 dollari all’anno». Insomma un parto prematuro, con tutte le complicazioni che ne conseguono.
Dal Paese del “miracolo” al rischio-Paese
Il modello pareva inattaccabile. Le copertine di The Economist, i complimenti di Barack Obama al suo omologo brasiliano Lula da Silva, il miracolo di una crescita economica capace di coniugare rigore finanziario ed equità sociale. Stimoli fiscali con il vento in poppa del boom dei prezzi delle materie prime. Due mandati presidenziali di Lula e uno di Rousseff hanno fatto correre il Pil al di là di ogni aspettativa, con un programma che equivale al 27% della ricchezza nazionale. Negli stessi anni però il debito pubblico è lievitato al 60% del Pil, uno dei più alti dei Paesi emergenti. In crescita anche quello privato che rende il Brasile obiettivamente più vulnerabile.
La crescente instabilità politica (l’attuale coalizione di governo formata da 9 partiti non ha la maggioranza in parlamento), gli scandali e la corruzione che hanno coinvolto la stessa classe dirigente (il caso Petrobras e non solo), la sensibile esposizione a una Cina in rallentamento (dove si dirige il 20% dell’export) e il rilevante flusso di investimenti dall’estero (pericoloso in quanto instabile e soggetto a possibili riflussi) completa il quadro di un Paese fortemente vulnerabile. Anche per questo i report di Morgan Stanley, collocano il Paese in testa alla classifica del rischio fra gli emergenti, davanti a Turchia e Sudafrica.
Tra svalutazione e inflazione
La moneta brasiliana, il real, ha subìto, nelle ultime settimane crolli ripetuti, precipitando così ai minimi degli ultimi 12 anni nei confronti del dollaro; è il riflesso di una recessione incombente. Il Banco Central do Brasil prevede quest’anno una contrazione del Pil vicina al 2% e un’inflazione che potrebbe raggiungere il 9%; per questo ha alzato i tassi di interesse al 14,25% per scongiurare un ulteriore rinfocolarsi dell’inflazione. Tutti segnali di allarme per un Paese con un’esposizione debitoria verso l’estero di per sé non particolarmente rilevante, ma che negli ultimi 5 anni è cresciuta a un ritmo medio del 15% annuo. Il sogno brasiliano si è infranto, prima che nel perimetro di un Paese grande 28 volte l’Italia, sui muri della Fed, la Banca centrale americana. La politica monetaria americana, con il quantitative easing, aveva generato una grande liquidità, oltre 4.500 miliardi di dollari stampati dalla Federal Reserve per acquistare bond, fare circolare il credito e pompare la crescita. Una parte di questa liquidità è approdata oltre frontiera e ha raggiunto i Paesi emergenti, tra cui il Brasile, destinazione privilegiata di investimenti esteri. Poi la Fed, raggiunti gli obiettivi, ha cessato di stampare moneta e il flusso di capitali ha lasciato gli emergenti.
L’Olimpiade del 2016
Sarà l’ora del riscatto o quella della crisi, conclamata nella sua gravità ? Non sono incoraggianti le informazioni sulle infrastrutture che dovranno esser completate a Rio de Janeiro entro il prossimo aprile. Non solo, le acque della baia Guanabara sono molto torbide: in senso metaforico, per la corruzione che potrebbe erodere i fondi per i Giochi;e in senso letterale, dato che il bacino è inquinatissimo e lì dovranno esser ospitate le gare di vela, nuoto, canoa. Alberto Riva, autore di Tristezza per favore vai via, edito dal Saggiatore, si auspica che il Paese non perda questa grande occasione. «Dovesse succedere ci resta la Cidade maravilhosa e la Bossa nova, quel cocktail sublime composto dal ritmo del samba e dall’armonia del jazz». Non è poco.