Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  agosto 28 Venerdì calendario

È scoppiata una furiosa polemica per i dati sul lavoro che si sono rivelati sbagliati. Il ministro Poletti parla di «errore umano» nella compilazione di una tabella, ma l’opposizione va all’attacco. I nuovi dati sui contratti infatti mostrano un sostanziale dimezzamento dei rapporti in più a tempo indeterminato: sono scesi, nel periodo gennaio-luglio 2015, da 630.585 a 327.758 rettificati

Giuliano Poletti parla di «errore umano» nella compilazione di una tabella; e sottolinea che, ora, i nuovi dati corretti sul lavoro «sono in linea con quelli rappresentati nei mesi precedenti, e confermati dall’Inps».
Ma l’opposizione va all’attacco; e il giorno dopo l’ennesima rettifica sui numeri relativi ad attivazioni e cessazioni dei contratti di impiego (nei primi sette mesi dell’anno), nonostante le parole del ministro, le polemiche non si placano: «I dati sono una cosa seria, non si può scherzare – attacca il capogruppo di Fi alla Camera, Renato Brunetta -. Ora Renzi commissari Poletti, e l’Istat si riappropri di queste funzioni, con la supervisione del Parlamento». Ad andare giù duro è anche il leader del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo, che dà del «Bugiardo» al ministro del Lavoro; e Giorgia Meloni, numero uno di Fratelli d’Italia, critica l’intero esecutivo che, a suo dire, «dà i numeri, e il ministro Poletti si è perfettamente integrato».
La correzione diffusa mercoledì pomeriggio dal ministero del Lavoro ha evidenziato sostanziali differenze rispetto alla fotografia scattata appena 24 ore prima. I nuovi dati sui contratti infatti mostrano un sostanziale dimezzamento dei rapporti in più a tempo indeterminato (scesi, nel periodo gennaio-luglio 2015, da 630.585, comprensivi delle trasformazioni dei rapporti a termine in rapporti stabili, a 327.758 rettificati). A variare sensibilmente al rialzo è stato soprattutto il dato sulle cessazioni: il numero rivisto dal dicastero di via Veneto segna 957.242 “chiusure” di rapporti a tempo indeterminato, numero molto distante da quello diffuso il giorno prima, pari a 664.136 cessazioni di contratti a tempo indeterminato. Di qui il saldo dei rapporti stabili, che rimane positivo, ma di entità ridotta, frutto essenzialmente delle stabilizzazioni dei contratti a tempo.
Ed è questo l’aspetto che viene maggiormente criticato: «Il problema non è la gaffe del ministero – evidenzia Vittorio Zizza, senatore dei Conservatori e riformisti -. Ma il fatto che il governo brancola nel buio in materia di politiche del lavoro». Anche Italia Unica, movimento fondato dall’ex ministro Corrado Passera, evidenzia come l’incentivo al lavoro stabile, in vigore da gennaio, stia creando «ben pochi posti di lavoro veri».
Il Jobs act e la decontribuzione triennale stanno funzionando, risponde Giuliano Poletti: «Il dato sostanziale, anche dopo la revisione, è che c’è una conferma dell’incremento importantissimo dei contratti stabili e un crollo delle collaborazioni». In altre parole, il lavoro a tempo indeterminato sta tornando a essere scelto prevalentemente dalle imprese in luogo della precarietà (perché ha costi ridotti); per la nuova occupazione bisognerà attendere la ripresa economica e lo smaltimento di cassa integrazione e riduzioni di orario di lavoro.
Una questione importante, non evidenziata dalle polemiche politiche di ieri, è che, correzioni a parte, le fonti che comunicano dati sul lavoro sono troppe, e ciò crea confusione. Martedì 1° settembre per esempio usciranno i dati dell’Istat su occupati e disoccupati nel mese di luglio e nel secondo trimestre dell’anno; qui non si fotografano i contratti, ma i posti di lavoro. Poi toccherà all’Inps con i numeri sul precariato. Insomma, troppi dati, che sarebbe opportuno uniformare per offrire una visione più chiara dell’andamento del nostro mercato del lavoro. L’obiettivo è auspicabile in vista anche delle scelte di politica economica che il governo è chiamato a fare nella prossima legge di Stabilità.