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 2015  agosto 28 Venerdì calendario

Pechino interviene sul debito locale. Il governo cinese ha ampliato il programma di swap sui bond emessi dalle amministrazioni municipali. Immessa nuova liquidità dopo il taglio di tassi e riserve bancarie che, secondo Moody’s, libererà fino a 100 miliardi di dollari

Rialzano la testa le Borse cinesi, quella di Shanghai chiude a +5,34%, ed è la fine della serie nera consecutiva di ben cinque sedute. Voci di acquisti di titoli, specie di grandi banche, operate sul finale delle contrattazioni da parte di operatori istituzionali hanno alimentato la tesi che Pechino, a tutti i costi, voglia evitare nuove débâcle.
Fatto sta che ieri le prese di posizione su banche, enti locali, mercato immobiliare, quotazioni dello yuan hanno rivelato un attivismo a tutto campo della Banca centrale cinese. Il lavoro del governatore della People’s Bank of China nel rimettere insieme i cocci del tracollo borsistico non è affatto finito.
Ieri Zhou Xiaochuan ha deciso una nuova iniezione di liquidità a sostegno del sistema bancario, altri 150 miliardi di yuan (pari a 23,4 miliardi di dollari circa) immessi nottetempo nel sistema attraverso una serie di contratti reverse repo a sette giorni.
Liquidità che si aggiunge a quella da 150 miliardi di yuan già immessa sul mercato martedì, per un totale di 210 miliardi nelle ultime due settimane, un nuovo massimo a livello di operazioni sul mercato aperto da febbraio a questa parte.
E una nuova mossa destinata ad aggiungersi al quinto taglio dei tassi da novembre e a quello dei ratios, i coefficienti di riserve bancarie obbligatorie, che per Moody’s libererà risorse fino a 100 miliardi di dollari.
Per le banche cinesi questo fiume di denaro è un’altra boccata di ossigeno: proprio ieri Icbc, la prima banca cinese per capitalizzazione di borsa, ha svelato un preoccupante incremento oltre il 30% dei non performing loans. I crediti incagliati, e non c’è da sorprendersi, hanno ripreso a correre e le banche sempre più indebitate stringono ancora di più di cordoni del credito.
Una spirale che andava assolutamente bloccata.
Per di più ieri Zhou Xiaochuan insieme al ministro delle finanze Lou Jiwei ha messo mano ai local bonds, un altro punto dolente (si veda il Sole 24 Ore di ieri) del sistema cinese, espandendo il programma di debt-for-bond swap destinato ai governi locali a 3.200 miliardi di yuan, pari a 499.7 miliardi di dollari, dai 2mila miliardi fissati in precedenza.
Il programma serve a sostenere la ripresa degli enti locali oppressi da un enorme debito favorendo il collocamento dei bond rimessi in pista da appena qualche mese. Nelle intenzioni delle autorità cinesi bisogna assolutamente superare il mefitico sistema dei local government financing vehicles (LGFVs), che ammontava a 3mila miliardi di debiti a fine giugno 2013. Un debito in gran parte cresciuto sullo shadow banking e destinato spesso a programmi infrastrutturali inadeguati.
Partenza lenta, per i local bond, poi la svolta quando i nuovi titoli sono stati autorizzati ad essere usati come collaterali per le banche nei confronti della Banca centrale, ma la crisi di queste settimane rischiava di affossarli definitivamente. Prodotti a bassissimo rendimento, senza alcun appeal, adesso vengono sponsorizzati dallo stesso Stato cinese che ne rende più agevole il collocamento sul mercato, dando una boccata di ossigeno anche alle municipalità rimaste con le casse vuote.
La Banca centrale ieri ha usato anche un nuovo strumento di difesa contro il deprezzamento ulteriore dello yuan.
La Banca ha usato swap in valuta estera per diminuire il rapporto dollaro-yuan e l’intervento sarebbe stato rivolto a banche di medio calibro piuttosto che istituti di credito di proprietà dello Stato.
Infine, per puntellare il mercato immobiliare gravemente colpito anch’esso dalla svalutazione dello yuan dello scorso 11 luglio, ieri sono stati rimossi i vincoli per società e privati stranieri in Cina ad acquistare immobili, un pacchetto di divieti nato nel 2006.
La misura ha una valenza “politica”: gli stranieri che comprano casa in Cina sono pari allo 0,5% del mercato, una percentuale davvero contenuta. Ma anche questo è stato un segnale lanciato per far comprendere quanto la volontà di rimettere in moto l’economia sia impellente per Pechino.
I paletti del 2006 avevano creato una serie di ostacoli anche dal punto di vista operativo per chi avesse cercato di entrare nell’immobiliare cinese, ma adesso che i rendimenti sono in picchiata è difficile giustificare una simile misura decisamente protezionistica.