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 2015  agosto 28 Venerdì calendario

La resistenza del fax, nonostante tutto. Fra tasse, scuole e bollette non riusciamo a liberarcene. Dal Comune di Milano che lo chiede a chi deve pagare la Tari a Palazzo Chigi che lo usa per gli accrediti: resiste da quasi due secoli. E le spese per la carta continuano a crescere

«Mi mandi un fax». Siamo sempre lì. A quella frase, francamente odiosetta, con cui l’impiegato alza un muro facendo mostra di rispondere alla tua legittima richiesta, l’ufficio ad un reclamo, l’azienda all’attivazione di un servizio. Mi mandi un fax e dio ci benedica. Perché ai giorni nostri è pure difficile trovarlo un fax: c’è ancora qualcuno che davvero vende l’apparecchio inventato ormai 172 anni fa? O magari un tabaccaio che offre il servizio un tanto a pagina? Certo che c’è, sennò certe cose non si capirebbero. Quando qualche giorno fa è venuto fuori che il comune di Milano pretende che i cittadini nel 2015 inviino – solo ed esclusivamente – un fax con i moduli della tassa sui rifiuti c’è stata una piccola sollevazione popolare. Che scandalo. Se fosse una canzone sarebbe «sapessi com’è strano mandare ancora un fax a Milano». Eppure è l’Italia a esser così.
Ancora oggi, nonostante i proclami sul digitale che avanza e ci migliora la vita, serve un fax quasi sempre per comunicare con le scuole (ma non più per fare le iscrizioni, vivaddio); per richiedere la cartella sanitaria in ospedale; e persino per accreditare un giornalista o un fotoreporter a palazzo Chigi. Ebbene sì: “Per poter completare la procedura, l’utente DEVE inviare una comunicazione indirizzata all’Ufficio Stampa (fax: 06-67795441), su carta intestata e firmata, contenente informazioni che certifichino la propria identità”.
Ma la cosa non si ferma nel perimetro dell’analogica pubblica amministrazione: in Italia serve un fax per dimostrare di aver pagato una bolletta in ritardo ed evitare l’interruzione della luce o della corrente; serve un fax per comunicare con le compagnie telefoniche o con Sky; serve un fax per informare Alitalia di aver cambiato i dati personali della tessera MilleMiglia; serve un fax per aprire un conto corrente online (oppure puoi presentarti di persona, così il fax lo manda l’impiegato).
E quest’ultimo fenomeno è davvero comico, visto che parliamo di banche che nascono digitali; ed è al tempo stesso la fotografia del nostro rapporto, in fondo perverso con il digitale. Infatti quasi sempre ormai i moduli si compilano online; ma poi vanno scaricati, stampati e inviati per fax. Un po’ come il registro scolastico elettronico che molti presidi fanno stampare “perché così sono più sicuri”; o la monumentale “copia di cortesia” degli atti di un processo che i giudici pretendono di ricevere in forma cartacea; o persino la carta di imbarco per un volo aereo, che ottieni magari inserendo i dati su una app ma poi devi stamparla e mostrarla al gate sebbene in quasi tutti gli aeroporti del mondo basti una macchinetta a leggere i codici direttamente dal telefonino. Ci sono eccezioni naturalmente ma dimostrano due cose: che un altro mondo, senza fax, è possibile; ma non è il nostro.
E del resto se non fosse così non si spiegherebbe il richiamo che prima di Ferragosto ha fatto la Corte dei Conti: le spese di carta stanno crescendo, hanno detto i magistrati contabili. Possibile? Come? Con tutto quello che investiamo sul digitale? Certo che è possibile, se accanto al digitale, poi vogliamo stampare tutto. Per faxarlo meglio.
Vista da questo punto di vista, la storiella del comune di Milano che dice che “i cittadini preferiscono il fax” non è uno scandalo, ma un classico dell’estate italiana: come lo squalo avvistato che in realtà era una verdesca o il caldo che è sempre da record. Era l’estate di due anni fa e in Parlamento si svolse un duello accesissimo: il giovane deputato Pd Paolo Coppola aveva cercato di far inserire una norma per abolire il fax nella pubblica amministrazione, e il governo si era opposto. In particolare si era opposto l’allora sottosegretario allo Sviluppo Economico, il professor Claudio De Vincenti (oggi a palazzo Chigi al fianco del presidente del consiglio) che spiegò che lui non era a favore del fax, ma insomma come si faceva se poi la linea Internet non funzionava? Finì che l’abolizione passò, ma venne rinviata al 2015. Poco male, se non fosse che nel frattempo è stato per colpa di un fax che nessuno ha protocollato per due giorni, che l’alluvione a Parma fece tanti danni nell’ottobre del 2014: accadde che il sindaco era a Roma, e così
quel foglio con l’allarme della Protezione civile è rimasto lì, ignorato e svolazzante sotto la macchinetta che lo aveva stampato, e nessuno ha fatto nulla.
Nel frattempo la scadenza del 2015 è arrivata e alcune cose sono cambiate. Anche se solo sulla carta, e non è una battuta. Il governo sta per far partire Spid, un sistema di identità digitale grazie al quale per moltissimi servizi pubblici ma anche privati (banche e compagnie telefoniche) ciascun cittadino avrà un’unica credenziale di accesso: e quindi, per dirne una, non sarà più necessario mandare un fax per identificarsi. Si parte a dicembre 2015 per andare a regime in 24 mesi. Speriamo che non finisca come l’annuncio del maggio del 2008 dell’allora ministro dell’Innovazione Renato Brunetta: «Aboliremo la carta» disse. E lo fece distribuendo un fascicolo cartaceo di una quarantina di pagine. In fondo, la storia lo dimostra, i fax sono come i diamanti: per sempre.