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 2015  agosto 28 Venerdì calendario

La Spagna cresce ma la disoccupazione resta. Dopo lo scoppio della bolla immobiliare che qualche anno fa produsse la grande depressione e una disoccupazione giovanile oltre il 50%. L’istituto di statistica iberico ha rilevato ieri un aumento dell’1% del Pil nel secondo trimestre (rispetto al primo) e un lusinghiero +3,1% rispetto all’anno scorso, un dato ampiamente sopra la media dell’eurozona e dell’Unione Europea a 28. Peccato ci sia ancora poco lavoro

Otto trimestri di crescita consecutiva. Un vero e proprio rimbalzo – secondo l’economista Innocenzo Cipolletta – dopo lo scoppio della bolla immobiliare che qualche anno fa produsse la grande depressione spagnola e una disoccupazione giovanile oltre il 50%. L’istituto di statistica iberico ha rilevato ieri un aumento dell’1% del prodotto interno lordo nel secondo trimestre (rispetto al primo). Addirittura un lusinghiero +3,1% rispetto all’anno scorso, un dato ampiamente sopra la media dell’eurozona e dell’Unione Europea a 28. 
La «primavera spagnola» la spiega a suo modo Juan Ramón Rallo, un giovane economista iberico molto apprezzato per le sue analisi sulle reti generaliste e socio fondatore del think tank d’ispirazione liberal «Juan de Mariana»: «Sta cambiando il nostro modello produttivo: meno finanza e immobiliare, più industria e turismo». Complice la riforma del mercato del lavoro targata Rajoy – che ha abbassato i redditi e alzato la produttività – è ripartita anche l’occupazione (anche se il tasso dei senza lavoro veleggia ancora attorno al 22%) con 477 mila posti in più in un anno. La logica dello scambio capitale-lavoro può essere sintetizzata così: il governo guidato dai Popolari ha smobilitato la contrattazione collettiva creando i «new jobs». Giovani assunti con condizioni reddituali peggiori rispetto a chi era già nel ciclo produttivo. Con contratti ispirati al mantra della flessibilità. In cambio sono ripartite le assunzioni, trainate anche dagli investimenti diretti dall’estero. Ad esempio qui ha scommesso la manifattura tedesca. Non è un caso che alcuni grandi marchi dell’automotive abbiano trovato più conveniente avviare degli impianti in Spagna preferendola all’Est Europa. L’economista Francesco Giavazzi, editorialista del «Corriere della Sera», aggiunge un altro elemento: «L’aggiustamento fiscale sul fronte della spesa. Si è deciso di creare maggiore disavanzo pubblico (al 5,6% nel 2014, ndr ) non alzando le tasse». Il corollario è la ripresa della domanda interna di consumi, che contribuisce per un +3,3% alla crescita del prodotto interno lordo, mitigando la flessione delle esportazioni, nonostante siano cresciuti tutti gli indicatori relativi alla competitività del sistema-Paese, secondo l’analisi della Banca Mondiale. A ben vedere un unicum in Europa dove il rilancio della domanda domestica è ritenuto necessario per scollinare la Grande Crisi. Rallo lo inquadra persino come fenomeno generazionale: «I giovani sono tornati a percepire un reddito che, seppur basso, permette loro di fare acquisti».