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 2015  agosto 28 Venerdì calendario

La task force di Renzi. Il premier ha sette consiglieri per le riforme economiche, la squadra più robusta mai vista a Palazzo Chigi. E, al rientro dalle ferie, cercherà di capire se è il caso di reclutarne altri o riorganizzare il loro lavoro secondo il modello Usa. Dalla sua équipe dovrebbero uscire Guerra che a ottobre diventerà presidente di Eataly e Tommaso Nencini che se non torna alla Bocconi perderebbe un grosso finanziamento europeo di ricerca. In dubbio anche la permanenza della De Franceschi

Il corridoio del primo piano di Palazzo Chigi, quello dal lato di Piazza Colonna che porta all’ufficio del primo ministro, con il tempo è cambiato. Durante governi ormai distanti, si potevano sentire i fattorini discutere a lungo fra loro di ferie e turni, in livrea e scarpe da tennis. All’inizio dell’esecutivo di Matteo Renzi molte stanze erano vuote, e si respirava la disorganizzazione che arriva con l’inesperienza e la voglia di fare. 
Ora è diverso. C’è ordine nell’attitudine dei fattorini, e le stanze lungo il corridoio non sono più vuote. Renzi si è dato una struttura di consiglieri economici che con i mesi è cresciuta fino a diventare la più robusta mai vista a Palazzo Chigi. Massimo D’Alema aveva il primato, perché quando divenne premier nel 1998 chiamò Pier Carlo Padoan, Marcello Messori, Nicola Rossi, Massimo De Vincenti e, per la politica estera, Marta Dassù. Ma deciso a guidare direttamente dai suoi uffici tutto il programma di governo, Renzi è andato oltre. Ha sette consiglieri per le riforme economiche, e al rientro a settembre il premier cercherà di capire se è il caso di reclutarne altri ancora o addirittura riorganizzare il loro lavoro. La decisione più importante da prendere, quanto a questo, è se applicare il metodo americano: la Casa Bianca ha il Council of Economic Advisors, con procedure, lavoro di squadra, ruoli ben definiti e un capo che coordina l’attività e i rapporti con il presidente. L’ipotesi è già stata discussa. La decisione non c’è. Di certo qualcosa cambierà: come previsto dall’inizio, alcuni dei consiglieri rientreranno nelle loro carriere di prima. Andrea Guerra, l’ex amministratore delegato di Luxottica che ha gestito per il premier le partite sulla banda larga, la Cassa depositi e l’Ilva, in ottobre (salvo sorprese) diventerà presidente di Eataly. Tommaso Nannicini, l’economista di 41 anni che ha tenuto la regia del Jobs act e della delega fiscale, dovrebbe tornare alla Bocconi: se non lo facesse perderebbe un grosso finanziamento europeo di ricerca. Ci sono poi voci insistenti, ma non confermate, che anche la responsabile per le banche Carlotta De Franceschi potrebbe lasciare. 
Alla fine Nannicini resterebbe, se solo riuscisse a congelare il suo finanziamento europeo; e anche su De Franceschi non ci sono decisioni. Eppure questa è una squadra che rischia di perdere tre pezzi su sette in poche settimane, mentre persino al completo è già travolta di lavoro: legge di Stabilità, spending review, rapporti con le imprese, quel che resta da attuare nel Jobs act, rapporti con gli enti locali, le riforme bancarie, e tra pochissimo l’attuazione di deleghe delicatissime e molto complesse su giustizia e pubblica amministrazione. 
Visto dai piani alti dei ministeri di settore, secondo alcuni è in corso un tentativo di accentrare nell’ufficio del premier l’esecuzione di tutto il programma di governo. Visto da Palazzo Chigi, il problema è diverso. I consiglieri di Renzi sanno che devono lavorare con le burocrazie ministeriali per attuare le riforme, semmai in questi mesi è mancato loro qualcos’altro: non si sono mai seduti tutti insieme con il premier, documenti sul tavolo o grafici proiettati sugli schermi, per discutere dei problemi del Paese e delle strategie per risolverli. Renzi è riuscito ad attrarre alcuni dei migliori economisti e dei massimi specialisti d’Italia, spesso sotto o attorno ai 40 anni, tutti scelti anche per la loro duttilità. Ma non ne ha mai fatto una squadra. Ciascuno dei consiglieri parla con il premier da solo e a sua volta ciascuno di loro si dota di un gruppo di persone, spesso informale. Per esempio, il giurista della Bocconi Maurizio Del Conte ha lasciato per mesi l’università e il suo studio di avvocato per scrivere i testi dei decreti del Jobs act in cambio di un rimborso spese: treno da Milano, taxi da Termini a Piazza Colonna e hotel, secondo regolamento non oltre le tre stelle. In vista del confronto con Bruxelles sulla legge di stabilità e operazioni defatiganti e capillari come le riforme della giustizia e dell’amministrazione, a Palazzo Chigi si sta discutendo di un salto di qualità al giro di boa delle riforme. Servono nuovi innesti e, secondo alcuni, una struttura chiara con una persona di riferimento e più lavoro di squadra. Il realtà il metodo Renzi finora si è dimostrato utile: incontrando i suoi consiglieri uno ad uno, tenendo le sue carte coperte, il premier è riuscito a muovere di sorpresa ed evitare che il fuoco di fila contro le riforme partisse troppo presto. Ma il punto di forza del Council of Economic Advisor della Casa Bianca è proprio di far leva sulle competenze per metterle a fattor comune e moltiplicarle, con forte un impatto a valle sulla burocrazia. 
Su questa ipotesi, ancora volta Renzi tiene le carte coperte. Lo stesso Andrea Guerra per mesi ha lavorato per formare un secondo gruppo (esterno) di poche personalità su cui il premier potesse contare. Non è chiaro che Guerra sia riuscito, anche perché è difficile convincere professionisti affermati ad abbandonare le proprie attività. Ma quale che sia l’esito di questo dibattito in corso, anche la disciplina dei fattorini in corridoio nasconde sempre qualche indizio sulla natura di una leadership.