Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  agosto 11 Martedì calendario

Ultras, il peggio del calcio sbarca in America. Insieme alla febbre per il soccer arrivano le risse. Al derby di New York, le tifoserie rivali fuori dallo stadio si sono lanciate oggetti e buste della spazzatura. Tra loro anche hooligans inglesi. Ma soldi e organizzazione restano roba dell’altro mondo

Un derby «all’europea», quello che ha visto i New York Red Bulls battere 2-0 il New York City di Pirlo e Lampard. Non tanto per l’atmosfera della Red Bull Arena, con la scenografia dei padroni di casa che dipingeva il 36enne fuoriclasse bresciano e l’ex bandiera del Chelsea (37anni) come due anziani buoni ormai per l’ospizio (eppure qualcuno dimentica Pelè), dorato chegli offre il neonato club della Grande Mela, fondato due anni fa, quanto invece per gli scontri tra tifosi andati in scena nel pre-partita a qualche centinaio dimetri dall’impianto del drink che mette le ali. Al grido di «Chi sareste voi?» un gruppetto di ultrà dei RedBulls ha aggredito i supporters rivali in un tafferuglio prontamente sedato dalla polizia. Effetti collaterali del processo di crescita di una lega, la Major League Soccer, che forse non sta importando solo superstar. Tant’è che tra i fan riottosi c’erano anche hooligans infiltrati dall’Inghilterra. D’altronde i motivi di tale alterco non potevano derivare dalla rivalità tra due squadre che si sono affrontate per la prima volta nella loro non certo secolare storia. I Red Bulls sono stati fondati nel 2006, il NYC partecipa da quest’anno al campionato, che non prevede un sistema di promozioni e retrocessioni, bensì di ammissioni «studiate»in base al mercato. E come non ammettere una franchigia creata dai New York Yankees assieme agli emiri che possiedono pure il Manchester City?
Un segnale inequivocabile dell’appeal sempre maggiore che il soccer a stelle e strisce acquista a livello planetario, modello da cui qualcosa da imparare ce l’avremmo noi. Il fatturato complessivo delle 20 squadre partecipanti (che diventeranno 24entroil2020) è di mezzo miliardo di euro, meno di un terzo della Serie A italiana, ma in forte crescita. Lo stipendio medio è di appena 200mila euro l’anno (22esimo campionato più pagato al mondo, dietro anche quello cinese), eccezion fatta per i «designated players», i giocatori che, grazie alla regola inventata su misura per Beckham, possono sforare il tetto salariale guadagnando milioni l’anno. È il caso di Kakà (6,6 milioni), Gerrard (5,9), Lampard (5,5) e Giovinco (6,5), capocannoniere del campionato con 16 reti in 21 partite ea cui a Toronto hanno dedicato un cartone animato basato sul suo soprannome, «Formica Atomica».A questo proposito a fare davvero scuola è il modello di intrattenimento proposto, con lo stadio inteso come cattedrale. Pirlo e compagni giocano nello Yankee Stadium, l’impianto sportivo più costoso mai realizzato (2,3 miliardi, con un centro commerciale da 90mila mq dentro). I Seattle Sounders (con 40mila spettatori di media, più della Juve) giocano nello stadio di Washington, con un parcheggio così grande da ospitare gare di automobilismo. Dietro una porta dell’Avaya Stadium, casa dei San José Earthquakes, c’è il più grande bar all’aperto d’America, con i camerieri che lavorano a rischio pallonate. Già, perché le barriere non esistono. Chiedere a Timber Joey, il barbuto taglialegna mascotte dei Portland Timbers, che ha una piattaforma ai piedi della curva da dove taglia, motosegha alla mano, un pezzo di un gigante tronco di quercia a ogni gol della sua squadra. Roba dell’altro mondo.