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 2015  agosto 11 Martedì calendario

Tutto quello che avreste voluto sapere sulle farfalle e non avete mai osato chiedere. Gli insetti più affascinanti contano 165.000 specie. Per Primo Levi la loro metamorfosi era simbolo d’inconscio. E Nabokov, il padre di Lolita, dedicò anni alla loro classificazione

Nel 1945 Vladimir Nabokov, trasferito in America, dove si occupa di lepidotteri a Harvard nel Dipartimento di Entomologia del Museo di Zoologia Comparata, scrive alla sorella Elena. Da due anni si sta occupando della classificazione dei Licenidi, una delle cinque famiglie in cui si suddividono le farfalle, per riorganizzare le collezioni lì depositate; studia la struttura dei loro genitali: «minuscoli, scultorei gancetti, dentini, speroncini visibili solo al microscopio», qualcosa mai osservato ancora da nessuno. Li disegna e trova il lavoro inebriante, per quanto stare ore e ore al microscopio, scrive, gli sta rovinando la vista. Il nome dell’autore di Lolita, è strettamente legato alle farfalle che ha iniziato a catturare da ragazzo, su cui ha scritto vari articoli, e a cui ha dato anche il proprio nome.
Le farfalle sono gli insetti più belli e affascinanti che esistono sul Pianeta. Se ne contano 165.000 specie, divise in falene e farfalle: le seconde derivano dalle prime, ma la distinzione tra loro non è di tipo scientifico; costituiscono un sesto di tutti gli insetti conosciuti; diffuse ovunque, dai Tropici alle tundre dell’Artico. Il loro nome scientifico è Lepidotteri, dal greco lepis, scaglia e pteros, ali. Sono le ali a catturare il nostro sguardo, i colori meravigliosi, oltre all’incanto del volo aggraziato. Bellissime e fragili, vivono poco, al massimo un mese.
Primo Levi, un altro scrittore appassionato d’insetti, visitando nel 1981 una mostra a Torino, si è chiesto: perché sono belle le farfalle? Non certo per il piacere dell’uomo, si è risposto, cosa che asserivano gli avversari di Darwin: sono comparse almeno 100 milioni prima di noi umani. La bellezza è un concetto relativo e culturale, e Levi ritiene che si sia modellato nel corso dei secoli prendendo a oggetto le farfalle, così com’è accaduto per le stelle, il mare e le montagne. In effetti, il capo dei Lepidotteri visto da vicino con il microscopio appare orrendo: occhi enormi, senza pupille, antenne simili a corna, apparato boccale mostruoso, una sorta di maschera diabolica, aggiunge Levi, una parodia distorta del volto umano.
Il vero miracolo delle farfalle è nella simmetria, nelle ali. Ogni singola scaglia che la compone deriva da pigmenti chimici come la melanina, e ci sono altri pigmenti gialli, rossi, blu che provengono dai vegetali di cui si nutrono, o che producono durante la loro metamorfosi. Ogni singola scaglia ha una struttura in lattice, che contiene una miriade di superfici in grado di riflettere la luce, come scrive il fotografo svizzero Thomas Marent, che le ha ritratte per anni, in un bel volume, Farfalle (Atlante). Il gioco delle superfici ostacola, o favorisce, determinate lunghezze d’onda che generano colori intensi, come davanti alle bolle di sapone cambiano a seconda del punto di vista di chi le osserva.
L’altra grande fonte di sorpresa e attrazione, e forse anche repulsione, per noi umani è la metamorfosi cui va soggetta. Prima di morire la farfalla depone l’uovo. Osservando le fotografie di Marent si è colpiti dalla loro incredibile forma e colore: un «oggetto» diverso da specie a specie. I bruchi nascono dopo i mesi freddi, a primavera, prima neri poi verdi, e anche con tanti colori; sono orribili e insieme stupendi, l’opposto della farfalla che ne scaturirà. Per trasformarsi il bruco si racchiude dentro un involucro di seta, il bozzolo. Qui avviene la metamorfosi: gruppi di cellule embrionali si nutrono della sostanza e cominciano a dar forma alla futura farfalla. Nel momento in cui emerge dalla crisalide, la falena o farfalla si volge immediatamente alla riproduzione.
Due nascite e due morti, e un insetto dai colori cangianti che vola leggero nell’aria. Ce n’è abbastanza per farne un simbolo e creare racconti mitologici. Levi scrive: «Negli strati profondi della nostra coscienza la farfalla dal volo inquieto è animula, fata, talvolta anche strega». Dal tempo lungo dello stato di pupa – da una settimana a un anno –, a quello brevissimo della farfalla. Vive poco perché si nutre solo di sostanze zuccherine e il suo corpo non è in grado di produrre le nuove cellule necessarie per la crescita o per la rigenerazione dell’organismo; invecchia a vista d’occhio. Per accoppiarsi le farfalle svolgono veri e propri rituali di corteggiamento, con inchini e voli appositi. Poi si uniscono facendo coincidere le estremità dei loro addomi. Il maschio inserisce il suo pene dalle strane forme, osservate da Nabokov, all’interno della femmina: «rigirando il proprio apparato dall’interno verso l’esterno proprio come un calzino», scrive Marent, che le ha fotografate mentre copulano. Nello sperma, inoculato nella femmina attraverso lo spermatofora, sono presenti sali minerali che aiutano nella produzione delle uova. Il maschio perde parte del suo peso in questa operazione, e ci sono femmine che si accoppiano con più partner, mantenendo solo lo sperma dell’ultimo contatto; i maschi reagiscono in alcuni casi spargendo un odore disgustoso mentre copulano per allontanare i concorrenti; i maschi delle Parnassius, poi, hanno l’abitudine di sigillare l’apparato femminile con un tappo. La lotta per la sopravvivenza dei propri geni è senza fine. Elencando tutte le prerogative dei Lepidotteri, Levi scrive che un eventuale zoologo potrebbe sostenere che siano un competitore terribile per l’uomo e a lungo andare potrebbero sgominarlo. Non è così. Tuttavia come molti altri insetti, con ogni probabilità ci sopravviveranno. Ma se non ci saremo più noi, chi gioirà delle loro ali fantastiche?