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 2015  agosto 11 Martedì calendario

Caso Marò, è muro contro muro. Alla prima udienza al tribunale del mare, Italia e India non mollano la presa. Roma ha sostenuto che le misure di libertà per i due marò sono «urgenti» in quanto il contrario rappresenterebbe un «danno irreparabile» di fronte all’arbitrato che si terrà tra qualche mese, New Delhi nega l’esistenza di questa urgenza, data la situazione non diversa da uno o due anni fa, quando l’Italia non chiedeva né arbitrato né misure provvisorie. La battaglia si fa dura. Il giudizio probabilmente tra due o tre settimane

La relazione gatto-topo, che nel caso dei due marò ha funzionato per tre anni e mezzo, è ufficialmente terminata ieri ad Amburgo, in un’udienza davanti al Tribunale internazionale per la legge del mare (Itlos). Ora, il rapporto non è più a due, tra l’India, nella parte del felino, e l’Italia, nella parte della preda: è una questione discussa di fronte alla comunità internazionale. L’udienza è stata un momento alto: l’inizio di un confronto giudiziario che continuerà a lungo tra Delhi e Roma ma che ha già mostrato i caratteri di un contenzioso rilevante non solo per Salvatore Girone e Massimiliano Latorre ma anche per le regole che sottostanno all’attività antipirateria sui mari e per la rilevanza dell’Italia nella comunità globale di fronte a un caso di notevole rilievo.
Quella in corso – ieri e oggi – davanti ai 22 giudici dell’Itlos, tutti presenti, è un’udienza che deve stabilire misure provvisorie nei confronti dei due militari italiani prima che la Corte arbitrale internazionale dell’Aja si esprima sull’arbitrato intentato da Roma lo scorso 26 giugno.
In quell’occasione, l’Italia ha sollevato la questione della giurisdizione, ha cioè chiesto che un collegio di arbitri decida se Girone e Latorre debbano essere processati in India o in Italia (o altrove) per l’accusa di avere ucciso, mentre erano in missione antipirateria sulla nave di bandiera italiana Enrica Lexie, due pescatori indiani il 15 febbraio 2012. Dal momento che l’arbitrato prenderà tempo, Roma chiede al Tribunale di Amburgo di imporre all’India due misure provvisorie, valide fino al termine dell’arbitrato: che non prenda alcuna misura contro Girone e Latorre e termini di esercitare ogni giurisdizione sul caso; e che dia la piena libertà ai due marò, concedendo a Girone, oggi a Delhi, di tornare in Italia e a Latorre, in convalescenza a casa, di rimanervi.
L’udienza è tra due Paesi amici che però hanno un forte contenzioso aperto e che, su iniziativa italiana, ora lo devono risolvere sulla base della legge, dal momento che le trattative diplomatiche sono fallite.
Risultato: ieri, il confronto è stato netto, anche duro. Con i team legali delle due parti – composti da alcuni degli avvocati internazionali più prestigiosi – in campo con un ventaglio di argomentazioni giuridiche di prima grandezza. Il verdetto del Tribunale di Amburgo sarà importante: se passasse la posizione italiana, l’India perderebbe la posizione di vantaggio data dal detenere (in libertà provvisoria) i due marò; se passasse la posizione indiana e restasse lo status quo, sarebbe l’Italia a presentarsi all’arbitrato in posizione di debolezza.
I legali messi in campo da Roma, guidati da Sir Daniel Bethlehem, hanno sostenuto che, sin dall’inizio della vicenda, l’India ha agito con coercizione nei confronti della nave Enrica Lexie e dei marò.
Hanno ricordato i tentativi di Roma per trovare una soluzione legale, respinti dagli indiani, e le «strenue» iniziative diplomatiche bloccate da Delhi. «L’Italia ha rivoltato ogni pietra», ha detto Sir Daniel. Che ha anche accusato l’India di essere «economica con la realtà» quando in una memoria scritta ha ricostruito a suo modo i continui rinvii e il fatto che contro Girone e Latorre non siano ancora stati formulati capi di imputazione a tre anni e mezzo dall’incidente.
Soprattutto, il team italiano ha sostenuto che le misure di libertà per i due marò sono «urgenti» in quanto il contrario rappresenterebbe un «danno irreparabile» di fronte all’arbitrato che si terrà tra qualche mese, dal momento che l’India sta continuando a esercitare la giurisdizione sul caso e continuerebbe a farlo.
Gli avvocati di parte indiana Alain Pellet e Rodman Bundy hanno mirato i loro interventi proprio per negare l’esistenza di questa urgenza, data la situazione non diversa da uno o due anni fa, quando l’Italia non chiedeva né arbitrato né misure provvisorie.
Hanno sottolineato che a loro avviso l’improvvisa richiesta di arbitrato sulla giurisdizione è in contraddizione con i comportamenti passati di parte italiana. E hanno sostenuto che il Tribunale di Amburgo non può giudicare il caso in quanto l’Italia non ha portato a termine tutti i passaggi legali che la legislazione indiana consente. Oggi nuova udienza, il giudizio probabilmente tra due o tre settimane.