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 2015  agosto 03 Lunedì calendario

Il lamento di Luca Guadagnino: «Non so perché, ma io sono antipatico a buona parte della critica italiana. Forse pensano che io mi dia delle arie perché vivo a Crema e non a Roma, e che appartenga a un mondo altoborghese a causa di Io sono l’amore: mio padre era un insegnante, mio fratello fa il poliziotto». Il regista porta alla Mostra di Venezia “A bigger splash”, con Tilda Swinton, Ralph Finnes e Dakota Johnson

Una cantante pop che riempie gli stadi come fosse Madonna e un più giovane regista di successo, si rifugiano a Pantelleria, in una casa isolata immersa in una vuota campagna, lontano dal mare, dalle ville dei ricchi, dal paese, dalle coltivazioni di capperi e dai vigneti. E anche dal quasi quotidiano arrivo dei barconi carichi di disperati che partono dalle coste africane e spesso affogano prima, a centinaia. L’amore sigilla gli amanti in una indifferenza che li esclude dalla vita degli altri, fin quando, non invitata né desiderata, arriva un’altra coppia: un ex amante di lei con la graziosa figlia. Perché ha scelto Pantelleria? «Perché è un luogo di mondanità e di tragedia, di ricchezza di miseria, in cui però si può anche rifugiarsi, godere della sua bellezza, proteggendosi dalla persecutoria caccia ai cosiddetti vip». Luca Guadagnino porta questo suo film, A bigger splash, alla Mostra di Venezia, tra i quattro italiani forse il più atteso dalla stampa straniera, che nel 2010, sempre a Venezia, apprezzò nella sezione Orizzonti il suo Io sono l’amore, mentre quella italiana fischiava sonoramente. «Sono molto spaventato e eccitato perché questa volta sono in concorso insieme a film sicuramente interessanti. Se ci penso cado nel panico, anche se del giudizio di questa magnifica giuria mi fido, ne fa parte anche uno dei registi che amo di più, il maestro cinese Hou Hsiao-hsien». Il film è il rifacimento del francese La piscina girato nel 1969 da Jacques Deray, che realizzava una importante operazione di marketing, riunendo la celebre coppia Alain Delon-Romy Schneider che si erano separati tempo prima, e con Maurice Ronet e la giovanissima Jane Birkin. «Me l’ha offerto la produzione francese Studio Canal, ma io ero in dubbio perché non mi sembrava una mia storia. Ne ho parlato con Tilda Swinton, della cui intelligenza ho totale fiducia, lei mi ha fatto conoscere Ralph Finnes, con cui aveva lavorato in Grand Budapest Hotel e di cui in quel film avevo apprezzato la sapienza comica. Dakota Johnson non aveva ancora girato 50 sfumature di grigio quindi non era una star ma una graziosa ragazzina, Matthias Schoenaerts l’avevo visto in Un sapore di ruggine e ossa e mi era sembrato di giusta bellezza ed espressività accanto a una donna più grande e più sofisticata. Poi Tilda ebbe un’idea fulminante che cambiò tutto l’approccio al film: la cantante doveva essere muta perché costretta a far riposare la voce, sino al lunghissimo, straziante grido finale» dice Guadagnino. «La scena in cui lei appare sul palcoscenico di uno stadio zeppo di gente, l’ho potuta girare perché Jovanotti ci ha regalato venti minuti prima del suo ingresso: quella folla naturalmente era lì per lui». Chi ha visto il film dice che i quattro protagonisti sono bravi oltre che noti, però due inglesi, un’americana, un belga, tutti molto “hype” secondo il giudizio Internet. Non sono costati troppo? «Tutti e quattro insieme sono costati meno di un solo italiano di media popolarità. Comunque tra i protagonisti un italiano c’è, bravissimo: per trovarlo abbiamo chiesto di sottoporsi a un provino a una trentina di attori conosciuti: tutti hanno accettato tranne uno, offesissimo all’idea del provino causa la sua supposta celebrità». E chi ha vinto? «Corrado Guzzanti, che con la divisa di maresciallo dei carabinieri, non fa ridere ma sorridere, per la devozione con cui essendo uomo di legge ma anche fan della popolare cantante, riesce, nella sua massima confusione e timidezza a farsi dare l’autografo».
The bigger splash è stato già venduto ovunque, anche negli Stati Uniti, anche in Giappone e in tutta Europa, ma non ancora in Italia. «Non so perché, ma io sono antipatico a buona parte della critica italiana. Forse pensano che io mi dia delle arie perché vivo a Crema e non a Roma, e che appartenga a un mondo altoborghese a causa di Io sono l’amore : mio padre era un insegnante, mio fratello fa il poliziotto. Sono nato in Sicilia, da bambino ho vissuto in Etiopia, dove a 5 anni ho visto il mio primo film e ho deciso che quello sarebbe stato il mio mondo». Il titolo del suo film è anche quello di un celebre quadro di David Hockney, un acrilico del 1967 tra tante sue opere dedicate alle piscine californiane di profondo azzurro, talvolta con un paio di bei ragazzi nudi oppure come in questo The bigger splash con i segni grafici lasciati nell’acqua dai tuffi. «È stata una delle ragioni per cui ho deciso di fare il film, mi piaceva quella superficie spezzata da corpi indistinguibili, forse vivi, forse no».
Nel 1975, il regista Jack Hazan ha fatto una docufiction che raccontava la dolorosa rottura sentimentale fra Hockney e Peter Schlesinger, col titolo A bigger splash, protagonista lo stesso Hockney. Il regista Guadagnino che ama fare film sulla passione, non ama invece il nudo. «Lo trovo superfluo: si può raccontare il sesso come in questo film con due corpi che si prendono nell’acqua e che quindi non si vedono, oppure usarlo come simbolo di morte, con un uomo nudo rannicchiato in fondo alla piscina». Il film mostra i clandestini? «C’è solo un breve incontro con un gruppo di ragazzi neri che non entrano nel mondo chiuso dei quattro turisti stranieri, presi solo da se stessi Ma credo sia un momento importante quando Tilda per liberarsi della tragedia che li ha colpiti, tenta di accusare gli extracomunitari e il buon Guzzanti mormora, “è impossibile offenderli più di quanto lo siano già”». Vestita da Ralph Simons, che adesso lavora per Dior (e che l’aveva già vestita in Io sono l’amore quando lavorava da Jil Sander), Tilda Swinton pallidissima, senza trucco, con le occhiaie, spettinata, giustifica la passione e la gelosia dei suoi due uomini e il loro odio reciproco. Dakota è graziosa con la sua dolce cattiveria e la capacità invisibile di manovrare gli adulti. La frusta e le manette di 50 sfumature di grigio l’hanno resa celebre, ma Guadagnino l’ha fatta più credibile e interessante.