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 2015  agosto 03 Lunedì calendario

La riforma della Rai vista da Enrico Mentana: «Rimarrà tutto uguale a prima. Mi pare che l’unica cosa sia un piccolo cambio nella governance. A scegliere sono sempre i partiti! Tutti, compresi i Cinquestelle, ora si accomodano senza problemi al tavolo dell’ennesima lottizzazione»

«Potrebbe diventare una rubrica della settimana enigmistica: trova le differenze». Enrico Mentana ne è convinto: «Con questa riforma – supposto che vada avanti – la Rai è e sarà identica a prima. Chi governa presume sempre di poter cambiare le cose mettendo le persone migliori, ma le riforme vanno fatte nella buona e nella cattiva sorte. E invece...».
E invece per lei la riforma appena passata al Senato non cambia molto.
«Mi pare che l’unica cosa sia un piccolo cambio nella governance. Se andiamo a rivedere i discorsi fatti da Renzi dopo la vittoria alle europee, quando entrò in rotta di collisione col sindacato, col discorso della messa sul mercato di Rai way che – si è visto subito – era tutt’altro che sballato, si vede che ipotizzava una Rai davvero riformabile. Quei discorsi però si sono persi per strada».
La governance è un pezzo, il resto è contenuto nelle linee guida approvate a Palazzo Chigi.
«La vituperata Gasparri, che magari partiva da un’analisi del tutto interessata, ha fatto una revisione totale del sistema delle comunicazioni cambiando il panorama televisivo. Poi certo, ha finito per rafforzare i forti e indebolire le tv locali. Ma ora, con questa riforma, quali sono i cambiamenti che conosciamo a parte il ruolo dell’ad?».
Cambia la fonte di nomina del cda.
«Intanto tra due giorni tutto verrà fatto nello stesso modo. E anche quando scatterà il nuovo meccanismo, non risolverà l’unico vero difetto».
Quale?
«Che a sceglierli sono sempre i partiti!».
Fuori dalla commissione di Vigilanza, sulla base dei curricula che arrivano ai presidenti delle Camere.
«La scelta affidata ai presidenti di Camera e Senato c’è già stata: a bloccare la presidenza di Giulio Anselmi fu Nicola Mancino. Certe volte ritornano. E poi la questione di fondo è un’altra: qual è la mission della Rai? Quanti canali deve avere? Come vanno divisi servizio pubblico e area di mercato? La vituperata prima Repubblica, nel ’75, non è che decise di mettere Emilio Rossi al Tg1 e Andrea Barbato al Tg2 prima di decidere cosa voleva fare della tv pubblica».
Sono partiti dalla coda?
«Esattamente, e il rischio è che restino impantanati lì. Tutti i partiti avevano fatto proposte molto più innovative di quel che è venuto fuori, ma vedo che si accomodano senza problemi al tavolo dell’ennesima lottizzazione: compresi i Cinquestelle, che ora sceglieranno il loro consigliere: non c’è una camera di compensazione rispetto alla politica, e poi…».
E poi?
«Dentro la Rai non soffia alcun vento riformatore. Vogliamo dirlo? Dai direttori agli uscieri son tutti lì a chiedersi chi arriva adesso. È l’unica cosa che gli interessa».