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 2015  agosto 03 Lunedì calendario

Quattro punti da dove Ignazio Marino può iniziare per sistemare il caos della Capitale: bloccare il piano regolatore del 2008, far funzionare i mezzi pubblici («Con app che dicano dove si può parcheggiare»), salvare i siti archeologici («Serve un architetto paesaggista che deve ridisegnare spazi e funzionalità. Non rendere l’area pedonale per trasformarla in un suk di venditori abusivi e improbabili gladiatori») e fare la raccolta differenziata porta a porta in tutta la città («Così si smaltisce il 75 per cento dei rifiuti, il restante 25 per cento può essere venduto come combustibile. Nulla andrà più in discarica e le tariffe per la raccolta rifiuti si ridurrebbero di tre quarti”»)

Attraverso la nebbia di polemiche interessate, se non in malafede, si possono vedere alcuni fatti utili a capire il presente e il futuro della capitale d’Italia. Il primo è che la retorica di Roma come perenne e irredimibile casino è alimentata da interessi opachi.
Il secondo è che il sindaco Ignazio Marino è un marziano solo quando scollega i neuroni della ragion politica e si dimentica da dove viene. Il noto chirurgo è stato portato al Campidoglio dalle cosche vincenti di una guerra per bande che da decenni si contendono il potere di spolpare le casse comunali e che l’inchiesta Mafia Capitale ha solo in parte smascherato. Non risulta che Marino abbia sconfitto alle primarie del 2013 contendenti forti come Paolo Gentiloni e David Sassoli con i voti di un popolo di onesti in rivolta. I gruppi di potere interni ed esterni al Pd che lo hanno sostenuto condividono con le bande rivali buona parte della responsabilità del debito accumulato negli ultimi 15-20 anni dal Comune, 10 miliardi di euro che lo Stato si è accollato solo in parte e grazie ai quali i 2,8 milioni di cittadini romani sono i più tassati d’Italia.
Il terzo fatto, corollario del secondo, è che la diffusa voglia di far fuori Marino non è provocata da una sua sfida aperta al malaffare politico-imprenditoriale che domina Roma, ma semplicemente dal suo rifiuto – episodico e talvolta addirittura inconsapevole – di assecondarne i disegni. Ragione più che sufficiente, sia detto tra parentesi, per difendere Marino a oltranza, preferendolo di gran lunga a qualche compiacente prefetto che qualcuno starà già selezionando per normalizzare il Campidoglio (e sul significato di “normalizzare” ci siamo capiti). Il quarto fatto è che la più grave colpa da attribuire a Marino è di non aver fatto – in mezzo a mille annunci a effetto – quelle poche e decisive cose che i suoi predecessori di ogni colore non hanno mai voluto fare per non mettere a rischio la “stabilità politica” delle loro amministrazioni e soprattutto non mettere in discussione un modello di governo basato sulla speculazione e contro il buon senso.
Che sia Marino o qualcun altro, il sindaco di Roma potrebbe rapidamente cambiare il volto della città realizzando un’agenda di cose urgenti, possibili e risolutive. Ce le siamo fatte elencare da quattro persone competenti e autorevoli, non legate a interessi politici, che da anni osservano con passione e incredulità l’infinitamente occhiuta devastazione della Città Eterna.
Buche, stadio e piano regolatore
Paolo Berdini, ingegnere e urbanista, da sempre denuncia il secondo sacco di Roma perpetrato negli ultimi 15 anni che ha consentito alla speculazione fondiaria di far esplodere quartieri periferici senza servizi e senza collegamenti. Basti pensare che in questi anni la popolazione residente al di fuori del raccordo anulare (un anello con circa 20 chilometri di diametro) è passata dal 18 al 30 per cento del totale: “Sono 800 mila persone, segregate in molti casi, dopo che l’Atac ha tagliato per ragioni economiche le linee di autobus, in quartieri di sepolti vivi”.
Secondo Berdini bisogna bloccare il piano regolatore fatto approvare dal sindaco Walter Veltroni nel 2008 dal consiglio comunale nell’ultima notte in cui era in carica. “Molti danni sono già stati fatti, ma quel piano consente ancora di costruire in periferia 35 milioni di metri cubi, cioè abitazioni per 300 mila persone che non ci sono. E poi basta con le grandi opere, Marino ha dato il via libera al nuovo stadio della Roma, e per ripagare i costruttori del sacrificio ha autorizzato nuovi edifici per un milione di metri cubi. Adesso è ricominciata la novella delle Olimpiadi, grande abbuffata per la speculazione fondiaria con alla guida i soliti noti, da Giovanni Malagò a Luca di Montezemolo, quello dei grandi lavori di Italia ’90”.
Dopo i no, un grande sì alla sistemazione delle strade. “Le mitiche buche che affliggono Roma derivano in parte dai rapporti perversi con le ditte che fanno la manutenzione, che arrivano a lucrare fino al 50 per cento dell’appalto. Ma rimane il fatto che il Comune da solo non ce la può fare”. Roma ha il doppio degli abitanti di Milano, ma il comune è sette volte più grande. Per la precisione il suo territorio è vasto come la somma di Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Napoli, Bari, Catania e Palermo. La rete stradale vale 5500 chilometri, quanto tutta la rete autostradale nazionale. “Deve intervenire il governo, non c’è altro da fare, serve un miliardo all’anno per dieci anni, inutile girarci intorno, e sono soldi che un comune non avrà mai”.
Traffico, trasporti e pendolari
Anna Donati, esperta di trasporti, ex parlamentare verde, ex consigliere della Fs, oggi impegnata con il Kyoto Club, da oltre vent’anni osserva i tentativi di risolvere i problemi del traffico a Roma. “Due cose in generale. Non ci sono scorciatoie, ci vogliono dieci anni. Poi, i problemi più grossi non li risolve il sindaco ma il governo: in Italia dal 2010 a oggi il contributo al trasporto pubblico locale è stato tagliato da 7 a 5 miliardi. Il contributo che dà la Germania al suo sistema è circa doppio. Quanto alle Fs, si decidano a utilizzare i binari liberati dall’alta velocità. C’è la vecchia linea per Napoli, verso Pomezia: mettano un treno ogni 15 minuti. Chi vive fuori dal centro spesso è costretto a usare l’auto, bisogna fare qualcosa ricordando che ogni giorno i servizi pubblici su Roma portano 900 mila persone, tutta l’alta velocità in Italia 150 mila”.
Per scoraggiare il mezzo privato bisogna dunque che funzioni quello pubblico. “Il consiglio comunale ha appena approvato il nuovo Piano generale dei trasporti per Roma. Ci sono cose buone, vanno attuate subito. Bisogna aumentare la velocità commerciale dei bus, quindi più corsie preferenziali, semafori intelligenti, car sharing, anche più biciclette, perché no? E poi la cosa più complicata, il sistema della logistica urbana delle merci che aiuti i trasportatori a lavorare meglio ed eviti la coda dei furgoni fermi in doppia fila per scaricare”.
E le metropolitane? “La Metro C va terminata perché è utile. Ma attenzione: Roma è molto estesa, a bassa densità, la metropolitana si giustifica in poche zone, per il resto sono più utili i tram”. Infine la cosa più urgente: “Bisogna che il comune predisponga subito un app per telefonini che organizzi l’accoglienza dei turisti per il Giubileo, che ti dica dove parcheggiare l’auto, con quali mezzi pubblici puoi entrare in città, che preveda l’addebito su carta di credito per parcheggi o biglietti. Tutto ciò che nelle altre grandi città è normale”.
Arte, cultura e patrimonio: ieri oggi e domani
Salvatore Settis, archeologo e storico dell’arte di fama internazionale, è molto presente nella discussione sul futuro dell’Italia. Le sue idee su Roma poggiano su due pilastri. Il primo: la pedonalizzazione dei Fori imperiali va fatta ma non basta. Il secondo: il futuro della città va costruito valorizzando il passato e non distruggendolo. Non si tratta di imbalsamare il centro storico facendone un museo. Al contrario: “Penso alla vita della città come sovrapposizione di strati che comincia nel passato e pensa al futuro. Roma ha la responsabilità di fondare la soluzione dei suoi problemi sulle impegnative eredità del passato”. Per questo la pedonalizzazione dei Fori non basta. “Limitandosi a eliminare il traffico dall’area archeologica centrale si rischia di trasformarla in un suk travolto da venditori ambulanti e improbabili gladiatori. Serve invece una progettazione complessiva. Un architetto paesaggista deve ridisegnare spazi e funzionalità dell’area facendone un pezzo vivo della città capace di darle nuova linfa vitale. È un tema mai affrontato concretamente nella pluridecennale discussione sui Fori”.
Il secondo punto indicato da Settis riguarda il lavoro in corso per un accordo tra le due sovrintendenze, quella comunale e quella statale, che fino a oggi si sono divise si dividono la competenza sul patrimonio della Capitale: “Il rischio che vedo, e che comunque va evitato, è che in questo accordo la ricerca archeologica e la tutela non abbiano il primo posto”. Un esempio di attualità riguarda i lavori per la Metro C, destinata ad attraversare il centro storico da piazza Venezia fino al quartiere Prati: “A me piace esprimermi su questioni che conosco in dettaglio, e non è il caso della Metro C. Però posso dire, in linea di principio, che i ritrovamenti archeologici possibili in quell’area sono sicuramente di tale importanza che non ci si può permettere il rischio di distruggerli. Non si tratta di ostacolare la modernizzazione, semmai di ripensare il sistema della circolazione e il rapporto tra la vita dei cittadini e il corpo della città. Il trasporto veloce si può organizzare per esempio attorno a un sistema di metropolitane leggere di superficie di cui si parla da decenni”.
Mondezza, discariche e porta a porta
Walter Ganapini, membro onorario dell’Agenzia europea per l’ambiente e oggi direttore generale dell’agenzia per l’ambiente della regione Umbria, sa tutto dei rifiuti solidi urbani.
Nel 1997 il sindaco di Roma Francesco Rutelli lo nominò presidente dell’Ama, la società per lo smaltimento dei rifiuti, dove è durato pochi mesi. Fu lui a introdurre i cassonetti per la raccolta differenziata della carta, del vetro e della plastica. Furono boicottati e non sono mai serviti a niente: l’Ama destinò allo svuotamento di quei 24 mila cassonetti appena 18 mezzi.
“La soluzione per Roma è semplice. In tre-quattro mesi si può organizzare la raccolta differenziata porta a porta in tutta la città. Così si smaltisce il 75 per cento dei rifiuti, il restante 25 per cento può essere venduto come combustibile. Nulla andrà più in discarica e le tariffe per la raccolta rifiuti si ridurrebbero di tre quarti”. E chi li va a raccogliere i sacchetti a tutti i portoni di Roma? “I dipendenti dell’Ama. Nel ’97 erano tremila e dissi a Rutelli che erano troppi. Adesso sono quasi ottomila. Le assunzioni all’Ama sono state la grande strategia assistenziale e clientelare del sindaco Gianni Alemanno, o li vogliono cacciare oppure scegliere una strada labour intensive come il porta a porta”. Gli impianti per il trattamento ci sono già: la somma dei due dell’Ama (ex Autovox e Rocca Cencia) e di quello costruito a Malagrotta dal cosiddetto re delle discariche Manlio Cerroni prima che lo arrestassero, sono in grado, secondo Ganapini, di trattare 4 mila tonnellate di rifiuti al giorno, e per Roma bastano. Ma se è tutto così semplice, perché nessuno ha fatto niente finora? “La politica cede davanti alla forza degli interessi organizzati. Quelli di chi ha le discariche, di chi vuole fare gli inceneritori che non servono a niente, e delle stesse economie criminali, che non sono più solo nella zona di Latina ma si stanno avvicinando alla Capitale. E poi la monnezza, come si chiama a Roma, è un tradizionale canale di finanziamento della politica, forse anche per questo c’è scarsa sensibilità. Eppure l’ha detto anche il Papa con l’ultima enciclica: la qualità ambientale è fattore competitivo per le economie industriali”.