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 2015  agosto 03 Lunedì calendario

L’atletica finisce sotto inchiesta per doping e centoquarantasei medaglie vinte immeritatamente rischiano di riscrivere la storia dei Giochi. «Francamente non abbiamo mai visto una quantità del genere di esami del sangue così anormali, 21 degli sportivi testati rischiano l’attacco cardiaco». Roba da azzerare Olimpiadi e Campionati del mondo, per la precisione i sei Mondiali da Edmonton a Daegu e le tre Olimpiadi di Atene, Pechino, Londra

La storia delle Olimpiadi e dei Mondiali di atletica non sarà mai riscritta ma l’inchiesta sul doping che hanno pubblicato e trasmesso il Sunday Times britannico e l’emittente tedesca Ard-tv tedesca è una documentata denuncia sullo sport disonesto e sulle gare di resistenza truccate, maratona, 5.000 e 10.000 metri, 3.000 siepi, 800 e 1.500 metri, la marcia di 20 e 50 chilometri, heptathlon e decathlon.
Centoquarantasei fra ori, argenti e bronzi vinti immeritatamente nelle due competizioni più prestigiose. La fotografia di un sistema che nonostante le belle parole sfugge alle regole del buonsenso, alle leggi, ai codici dello sport. E scoperchia gli scheletri che gli organismi internazionali, la Federazione di atletica (la Iaaf) nel caso specifico ma indirettamente anche il Comitato Olimpico (il Cio), conservano nei loro armadi, forse un po’ meno blindati.
Per fortuna esistono le gole profonde. Una o più di una. Come quelle che hanno consegnato ai reporter del Sunday Times e di Ard-tv 12.359 test del sangue effettuati su 5 mila atleti dal 2001 al 2012, con l’avvertenza che c’era qualcosa di strano nei dati custoditi dalla Iaaf. È stato giocoforza per le due testate mettere questo «tesoro» nelle mani di due medici e ricercatori, Robin Parisotto e Michael Ashenden: il primo è l’australiano che ha indagato sull’Epo e il secondo, sempre australiano, è stato fra i testimoni contro il ciclista Lance Armstrong.
«Francamente non abbiamo mai visto una quantità del genere di esami del sangue così anormali, 21 degli sportivi testati rischiano l’attacco cardiaco». Roba da azzerare Olimpiadi e Campionati del mondo, per la precisione i sei Mondiali da Edmonton a Daegu e le tre Olimpiadi di Atene, Pechino, Londra. Un atleta su sette registra analisi che fanno prefigurare «un’altissima probabilità di assunzione di doping o di forte anomalie» (parole dei due medici), probabilmente dovute a trasfusioni e a Epo. Ottocento campioni di 94 Paesi nella rete della disonestà sportiva. L’atletica sulla graticola. Settantasei medagliati o plurimedagliati grazie agli «aiuti» esterni: 55 ori, fra Giochi e Mondiali, 47 argenti, poi i bronzi. Il record di analisi olimpiche sospette a Pechino (19 ori), poi Atene (16 ori) e Londra (10).
C’è pure una classifica speciale: quella delle nazioni più chiacchierate. In testa la Russia con il 30 per cento dei casi (l’80% delle sue medaglie), poi Ucraina, Turchia, Grecia, Marocco. Il Brasile è al 12%, la Giamaica al 9%. L’Italia è a metà, con il 6%, assieme a Germania e Belgio, prima di Usa, Cina, Francia, Giappone (5%), Gran Bretagna, Sudafrica e Svizzera si fermano al 4%, l’Australia è al 3%. La graduatoria della vergogna che ha movimentato i lavori dei signori del Cio a Kuala Lumpur e ha suggerito a Craig Reedie, presidente della Wada (l’agenzia internazionale antidoping) una dichiarazione: «Queste sono accuse selvagge, dovremo indagare per fare luce sulla verità». Basta che si rivolga ai due medici, Parisotto e Ashenden, che già collaborano con la Wada.
Niente nomi per non violare la privacy ma due esclusioni eccellenti dai file del doping: risultano puliti sia Usain Bolt sia il mezzofondista britannico Mo Farah. Le medaglie indiziate sono nei 1.500 metri (29 podi), la 20 chilometri di marcia (28), gli 800 metri (16), i 5 e 10 mila (15 e 15) come i 3.000 siepi, la marcia di 50 chilometri ne ha 13, chiudono heptathlon e decathlon (9) e maratona (6).
Le «gare sporche», le ha definite il Sunday Times. La Federazione internazionale di atletica ha provato a bloccare lo scoop. Fino a venerdì sera ha schierato avvocati e minacciato ricorsi in tribunale. Ma c’era poco da opporsi. E allora alla Iaaf non è rimasta che riservarsi «il diritto di intraprendere qualsiasi azione legale per proteggere la Federazione e i suoi atleti». Forse la cosa migliore sarebbe aumentare il budget per i controlli antidoping: oggi, 4 milioni di dollari all’anno, dato della stessa Iaaf. Che è la miseria del 5 per cento dei suoi ricavi.