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 2015  agosto 03 Lunedì calendario

Carbone, difficile liberarsi di quelle centrali poco costose e facili da costruire. La Cina ne produce la metà di quello estratto in tutto il mondo ma ne consuma tanto da doverlo importare. E per molti Paesi emergenti è una voce primaria dell’export

L’unico carbone buono – dicono gli scienziati che si occupano di clima – è quello che rimane sottoterra. La scienza – ma anche Papa Francesco, o i fiorentini che sabato hanno subìto quaranta minuti d’inferno, con fulmini a decine, pioggia a litri e grandine da tre centimetri – non ha dubbi: dopo due secoli di Era industriale nell’atmosfera ci sono già 400 parti per milione di anidride carbonica. Il clima è già cambiato, e non è certo che l’umanità possa limitare l’aumento della temperatura globale a due gradi centigradi (il che sarebbe «accettabilmente disastroso»). L’81% del sistema energetico mondiale ancora oggi si basa sui combustibili fossili. Bruciarli genera CO2, il più diffuso dei gas ad effetto serra. Un chilometro percorso in auto ne libera in atmosfera 10 grammi; sommando tutte le emissioni derivate dal carbone, si arriva a 13,9 miliardi di tonnellate di anidride carbonica (dati Iea 2012). Ovvero, il 44% di tutta la CO2 emessa in un anno.
L’inquinamento
In realtà andrebbe ridotta in modo drastico anche la combustione di petrolio (il 35,3% delle emissioni) e di gas naturale (il 20,3%). Tuttavia, a parità di energia resa disponibile, le emissioni del carbone sono del 30% superiori a quelle del petrolio, e del 70% superiori a quelle del gas. Per non parlare degli impatti sulla salute (polveri sottili e anidride solforosa) e sul territorio. E in più – ed è questa la ragione vera della sua pericolosità – il carbone è abbondante e poco costoso.
Alla fine del XX secolo, caratterizzato dal predominio del petrolio, nei paesi industrializzati come in quelli emergenti e in via di sviluppo ci si è resi conto che il carbone è il combustibile di gran lunga più conveniente per generare energia elettrica. Tra il 1990 e il 2010, un terzo della nuova capacità di generazione elettrica è stata coperta dal carbone. Spesso costruire una centrale a carbone (semplice dal punto di vista ingegneristico, e poco costosa se non si bada all’ambiente) garantisce il fabbisogno elettrico di un paese africano. Così, Cina, Sudafrica, India hanno alimentato la loro crescente fame di energia proprio con il carbone. Tra il 2000 e il 2010 Cina ed India hanno incrementato i consumi di carbone dell’80%.
Le resistenze
Non è facile per l’umanità «disintossicarsi» dal carbone, che rappresenta un business gigantesco per i paesi produttori, o una materia prima difficile da sostituire. Anche Obama faticherà: Cina e Usa sono allo stesso tempo i i primi due paesi produttori e i primi due consumatori. Alla Cina – che produce il 47,4% del carbone estratto al mondo – ne serve talmente tanto da essere costretta a importarne. Il terzo e il quarto produttore al mondo sono Australia (6,9%) e Indonesia (6,7%), paesi le cui economie sono fortemente dipendenti dalle esportazioni di carbone, convinti di poter continuare anche in futuro. Ma gli esperti di energia dicono che presto i paesi emergenti ed emersi, che stanno investendo tantissimo in fonti rinnovabili, potranno fare a meno di tutto questo carbone. Seguono Russia e Sudafrica, che hanno una forte eccedenza di produzione sui consumi interni. Nella lista dei consumatori, dopo Cina e Usa (50,3 e 11,9% del consumo globale) ci sono invece due paesi importatori, come India (8,5%) e Giappone (3,4%).
Anche la nostra (teoricamente ambientalista) Europa fa fatica a rinunciare al carbone. Nonostante tanti progressi green, la Germania continua a consumare molti milioni di tonnellate di carbone. E lo stesso vale per la Polonia, ricca di giacimenti, e per questo protagonista di battaglie in sede Ue per annacquare gli obiettivi su fonti rinnovabili ed emissioni.E in Italia vanno a carbone – tra le proteste – diverse centrali elettriche, e l’Ilva di Taranto.