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 2015  luglio 30 Giovedì calendario

L’ultima morte del mullah Omar. Lo hanno dato per spacciato almeno una dozzina di volte, ma questa sembra quella buona. Si sa che è successo nell’aprile del 2013, ma non si sa bene come. Le fonti più attendibili sostengono che l’eroe dei taliban e il nemico n.1 degli Usa (dopo l’uccisione dell’amico Bin Laden) sia stato finito dalla tubercolosi. La notizia è venuta fuori adesso probabilmente per ostacolare il flebile processo di pace. Ma vediamo chi era questo guerrigliero guercio che ha fatto tanta paura all’Occidente

• Guidava i talebani dal 1996, non si vedeva dal 2001, è morto nel 2013. Ma la notizia è arrivata soltanto ieri. Abdul Hassib Seddiqi, portavoce dei servizi di sicurezza afghani, l’ha confermata alla Bbc. Il mullah Omar sarebbe morto in un ospedale in Pakistan forse per un colpo di fucile, più probabilmente di tubercolosi. Pare sia stato sepolto in segreto nella provincia afghana di Zabul. Il portavoce della Casa Bianca, Eric Schultz, ha detto che gli Stati Uniti ritengono la notizia «credibile» [Michele Farina e Guido Olimpio, Cds 30/7/2015].
 
• La notizia della morte del Mullah Omar è stata data almeno una mezza dozzina di volte da quando nel 2001 il leader dei Taliban riuscì a buggerare gli americani con quella rocambolesca fuga in moto. L’ultima l’aveva data l’Isis a gennaio che, informando della morte di Omar, aveva nominato un nuovo Emiro dell’Afghanistan, Khadim. Ma il Mullah era talmente morto che un mese dopo il sedicente Emiro Khadim e 45 dei suoi seguaci erano stati disarmati e catturati dai suoi uomini [Massimo Fini, Fat 30/7/2015].
 
• Già molte volte l’avevano dato per spacciato. Perché la notizia viene fuori adesso? Farina: «La stampa pakistana in questi giorni ha parlato dell’acuirsi delle divisioni in seno al movimento talebano. Il primogenito del mullah Omar, il ventiseienne Mohammad Yaqoub, sfida quello che già da anni è il leader esecutivo del gruppo, il mullah Akhtar Mansoor. Un diplomatico coinvolto nei difficili negoziati con il governo di Kabul ha detto al Guardian che la fine della Guida carismatica potrebbe danneggiare il già flebile processo di pace, spezzettando ulteriormente il puzzle della rivolta talebana. Il nuovo presidente che siede a Kabul, Ashraf Ghani, spinge per un secondo round di colloqui, dopo che i primi (in Pakistan) hanno allargato la frattura tra l’ala aperturista (simboleggiata dal mullah Omar) e gli oltranzisti della via militare» [Michele Farina].
 
• «I Taliban sono divisi. Un largo gruppo vuole portare a termine i negoziati di pace e probabilmente sapeva che il nome del mullah Omar avrebbe convinto molti altri a sostenere i loro sforzi. C’è anche la possibilità che proprio questo abbia convinto chi è contrario alla pace a far uscire la notizia della morte: per screditare l’altra fazione e l’intera iniziativa di pace» (Mohsin Hamid) [Anna Lombardi, Rep 30/7/2015].
 
• Il mullah Omar, il guercio che aveva perso un occhio in battaglia, parlava anche da morto. Farina: «Risale a due settimane fa l’ultimo messaggio (scritto) a lui attribuito, nel quale (via Internet) si benediceva il negoziato per porre fine a quattordici anni di guerra» [Michele Farina, Cds 30/7/2015]. 
 
• «Certo, la sua morte è stata smentita così tante volte che qualche dubbio resta, sì, anche se gli afgani confermano. D’altronde il fatto che i suoi ultimi interventi fossero messaggi scritti e non audio o video era davvero inusuale. Anzi, sospetto» (Mohsin Hamid, lo scrittore pachistano de Il fondamentalista riluttante) [Anna Lombardi, Rep 30/7/2015].
 
• Il 18 di aprile, l’Isis è entrato con prepotenza anche nel conflitto afghano. E lo ha fatto a modo suo, con due kamikaze che si sono fatti esplodere a Jalalabad, città ai confini con il Pakistan. L’attentato era stato smentito dai Talebani e rivendicato da un loro portavoce passato nelle file dello Stato islamico. La saldatura tra gruppi estremisti pakistani, alcuni anche ex talebani, e l’Isis, è motivo di grande preoccupazione. Perché è avvenuta nel periodo in cui i Talebani stanno sferrando – e con successo – la loro solita offensiva d’estate. Non solo nella provincia meridionale di Helmand (una delle loro roccaforti). Ma anche nelle regioni settentrionali. Dopo la conquista, in maggio, dei distretti di Chahar Dara Dasht-e-Archi, gli insorti si trovano pericolosamente vicino a Kunduz, capitale di quell’omonima provincia fino al 2014 sotto il comando del contingente tedesco della Nato, conosciuta per essere una delle regioni più stabili del Paese. Ma è proprio in questa regione che sta avvenendo quella pericolosa saldatura tra gruppi di talebani e cellule legate allo Stato islamico (per quanto ufficialmente i due movimenti siano acerrimi rivali) [R. Bon, S24 30/7/2015].
 
• Il fatto è che molti giovani talebani sono attratti dall’Isis che con la sua ferocia ha conquistato vasti territori in Siria e Iraq, mentre il movimento di Omar, usando metodi meno bestiali, ci ha messo 14 anni a riconquistare solo la pur notevole parte rurale dell’Afghanistan [Massimo Fini, Fat 30/7/2015].
 
• Fini: «Se la notizia della morte del Mullah Omar è vera. Chi l’ha ucciso? L’Isis? Mi pare improbabile. L’Isis per ora ha intaccato solo marginalmente il territorio afgano ed è difficile che i suoi uomini siano riusciti là dove per 14 anni ci hanno provato inutilmente i servizi americani. Più ragionevole pensare che le ragioni di questa morte vadano cercate negli accordi in corso a Oslo. Se Omar era d’accordo con la pacificazione diventava impresentabile, non era accettabile per gli americani che Omar, sul quale pende una taglia di 25 milioni di dollari (c’è chi dice 10, ndr), rientrasse a Kabul se non da vincitore da semivincitore. Se non era d’accordo, come penso, bisognava eliminarlo per indebolire i ‘duri e puri’ tra i Taliban. Quindi, per la prima volta dopo 14 anni il Mullah Omar è stato tradito da qualcuno dei suoi [Massimo Fini, Fat 30/7/2015].
 
• «È senz’altro un personaggio interessante, la cui realtà storica è stata piegata a necessità propagandistiche. Vede, chi vive in Occidente considera i Taliban un pugno di rozzi assassini, cosa senz’altro vera. Ma sono anche un’organizzazione complessa che bada molto a quello che ritiene essere il proprio “pubblico”. Quando parlano di sé scelgono sempre un approccio letterario, poetico. Taliban significa studenti: e l’immagine che vogliono dare è proprio quella romantica di studenti rivoluzionari. La figura del mullah Omar ha fatto da sempre parte di questa retorica: descritto, appunto, come una sorta di Che Guevara, un guerriero capace di cantare e scrivere poesie, che fuggiva in motocicletta» (Mohsin Hamid) [Anna Lombardi, Rep 30/7/2015].
 
• Mohamed Mujahed Omar è nato nel 1960, nel villaggio di Chah-i-Himmah, nella località di Khakrez, area di Kandahar. Appartiene al clan Tomzi della tribù Hotak che, a sentire i talebani, ha sfornato combattenti, eroi, condottieri [Guido Olimpio, Cds 30/7/2015].
 
• Era un guerriero, sì, ma con sangue di contadino. Forse suo padre era a sua volta un mullah, di sicuro era poverissimo, ed è morto quando Omar era adolescente. Mohammed scoprì a diciannove anni che la sorte aveva in serbo per lui l’acciaio della spada e il piombo delle pallottole. Come tanti ragazzi della sua età, divenne un mujaheddin, imbracciò il fucile per combattere i sovietici. Tutto, in lui, sembrava modellato per la guerra. Quasi due metri d’altezza, robusto, la barba pendente sotto un volto non brutto [Francesco Borgonovo, Lib 30/7/2015].
 
• Combatté negli anni Ottanta contro i sovietici. La guerra gli impresse il proprio marchio. Nel 1989, poco prima che i sovietici si ritirassero per ovvi motivi, una granata esplose a pochi passi da Omar. Una pioggia di schegge gli investì il volto, e lui si ritrovò con un occhio penzolante fuori da un’orbita [Francesco Borgonovo, Lib 30/7/2015].
 
• Gli agiografi afgani raccontano che lui se lo strappò, che si bendò la ferita e che dopo aver impugnato il kalashnikov riprese a sparare con l’invasore [Pietro Del Re, Rep 30/7/2015].
 
• Quando uscì dall’ospedale, il primo dei tanti conflitti che avrebbe combattuto era praticamente finito. Omar tornò a casa, e affaticò l’occhio che gli era rimasto sui libri sacri. Studiò in una madrassa a Sangesar, e divenne mullah. La sua formazione era completa: al contadino e al guerriero si era unito il chierico. Una trinità fatale, ma imprescindibile per capire quali fossero i suoi obiettivi [Francesco Borgonovo, Lib 30/7/2015].
 
• Una recente biografia ne esalta le gesta lo descrive come un uomo, sì spartano e senza né una casa né un conto in banca, ma ricco di humour ma sottolinea come fosse temuto per l’uso dei razzi anti-carro Rpg [Guido Olimpio, Cds 30/7/2015 e Pietro Del Re, Rep 30/7/2015].
 
• L’Armata rossa leva le tende, ma il mullah non depone il Kalashnikov. C’è altro lavoro per lui. Diventa la guida degli studenti-guerrieri, creatura cresciuta dai servizi pachistani, dai sauditi e dal beneplacito Usa. Disciplinati, feroci, conquistano Kabul ed una certa autonomia fino a stringere il patto con Osama, saldatura tra la lotta locale e quella globale [Olimpio, Cds 30/7/2015]
 
• Col suo pugno di uomini, il mullah sgominò quei banditi prepotenti, entrò a Kabul e governò il Paese col pugno di ferro moralista di cui conserviamo ancora memoria. Proibizione di ogni tipo di musica (ci sono stati dei giustiziati per questo), guerra alla televisione con gli apparecchi tv impiccati agli alberi, obbligo di portare la barba - e della misura prestabilita - per gli uomini, proibizione alle donne di uscir da sole e sempre coperte da capo a piedi. E poi disintegrazione dei due Buddha da 35 e 50 metri incastonati tra le rocce dei monti che sovrastano il Bamivan e che risalivano al II secolo dopo Cristo. Però Omar impose pure la fine della coltivazione dell’oppio, ripresa alla grande appena i talebani furono cacciati [Giorgio Dell’Arti, Gds 30/7/2015].

• «La maggior parte degli afgani e dei pachistani sa benissimo chi era davvero: un killer, il feroce leader di una milizia pericolosa. Ma per i suoi seguaci è una sorta di eroe» (Mohsin Hamid) [Anna Lombardi, Rep 30/7/2015]. 

• In Afghanistan, Osama era stimato. Aveva cominciato a farsi notare ai tempi dell’invasione sovietica, finanziando la jihad. In seguito, sempre grazie ai soldi di famiglia, aveva contribuito a costruire infrastrutture, guadagnandosi l’approvazione della popolazione. E, con tutta probabilità, pure dei talebani, che attingevano alle sue casse. Fu per questo motivo che, quando gli americani chiesero ai talebani di consegnare Bin Laden dopo l’Undici settembre, Omar si oppose. In verità, se ne sarebbe liberato anche volentieri. Aveva già trattato con gli americani a fine anni 90, e poi con i sauditi, perché gli togliessero di torno il terrorista. Ma non se ne fece nulla. Quando Bush provò a trattare di nuovo, il Mullah fece il difficile, e attirò sul suo Paese l’ennesima guerra. Osama gli faceva comodo, ma segnò la sua rovina. Tra i due, c’è sempre stata freddezza [Francesco Borgonovo, Lib 30/7/2015].
 
• Nel 1999, come ha scritto Peter Bergen della Cnn, «Omar ha duramente snobbato Bin Laden, tenendolo a fare un paio d’ore d’anticamera quando è andato a rendergli omaggio durante la celebrazione dell’Eid, che segna la fine del Ramadan». Nel 2001 Omar, che certo non era un’autorità teologica, dichiarò che le fatwe di Osama erano «nulle e vuote», senza valore [Francesco Borgonovo, Lib 30/7/2015].
 
• Altre fonti sostengono che tra lui e lo sceicco saudita nacque un sodalizio d’acciaio. Raccontano che il mullah Omar avesse preso come moglie la figlia primogenita di Bin Laden e che, a sua volta, quest’ultimo si fosse sposato una quarta volta con una delle figlie del mullah. Rapporti di intelligence riferiscono di «battute di pesca» tra i due amici nei laghi di Bamiyan. E la sua residenza di Kandahar fu fatta costruire da Bin Laden. È possibile immaginare lo stupore dei primi marines che vi entrarono, dopo la presa della città, quando scoprirono che il mullah dormiva su un materasso ad acqua king size, il che confligge non poco con l’immagine di un leader umile, sobrio e marziale [Pietro Del Re, Rep 30/7/2015].
 
• Dopo la fuga alcuni sostengono che si sia nascosto lungo l’impervio confine tra Afghanistan e Pakistan. Altri credono che avesse trovato rifugio in una madrassa di Quetta [Pietro Del Re, Rep 30/7/2015].
 
• A lui non piacevano le immagini, neanche le sue. È sempre stato invisibile. Nessun video stile Osama. Qualche audio. E soprattutto un lungo silenzio. C’è anche chi – come un gruppo islamista uzbeko – «non vedendolo da 13 anni» ha deciso che ormai sia inutile seguire gli ordini di un fantasma. Perché tale è [Olimpio Cds 30/7/2015].
 
• Di lui restano tante leggende, e pochissime foto, peraltro di vecchia data. La più famosa è quel ritratto sbiadito in bianco e nero in cui spiccava un volto feroce, reso più inquietante da quel leggendario occhio leso da una scheggia di una bomba sovietica, incorniciato da una folta barba nera [R. Bon, S24 30/7/2015] Schivo, riservato fino alla timidezza, non ha mai voluto incontrare nessun giornalista occidentale, facendosi sempre rappresentare dal suo ministro degli Esteri, Mutawakkil [Pietro Del Re, Rep 30/7/2015].
 
• Il capo dei talebani aveva una vera fobia per i media, tanto che non si prese incarichi di governo, mandava avanti il suo tirapiedi, il ministro degli Esteri che Oriana Fallaci descrisse così: «È un lardone sui trenta o quarant’anni, Mister Wakil Motawakil. Molto grasso, molto inturbantato, molto barbuto, molto baffuto, e con uno stridulo accento da castrato». Era il volto dei talebani [Francesco Borgonovo, Lib 30/7/2015].
 
• Che cosa succederà ora si chiede Fini: «La morte segna la fine dei sogni di indipendenza dell’Afghanistan. Diventerà ufficialmente un protettorato americano. Ma la notizia non è positiva per l’Occidente, perché spalanca le porte alle mire espansioniste dell’Isis che non si accontenta di prendersi, eventualmente, l’Afghanistan ma vuole allargare la sua presenza ad altre aree dell’Asia Centrale» [Massimo Fini, Fat 30/7/2015].
 
• «La nostra natura umana ci fa pensare che è un bene che il cattivo sia morto. Ma troppe volte abbiamo visto che quando i leader di questi gruppi estremisti muoiono, quello che viene dopo non è mai meglio. Al Qaeda ci sembrava diabolica: l’Is è molto peggio. Così la morte del mullah Omar non significa che il suo successore sarà un moderato. Semma il contrario» (Mohsin Hamid) [Anna Lombardi, Rep 30/7/2015].
 
• Rendo onore al Mullah Omar, combattente giovanissimo contro gli invasori sovietici, dove perse un occhio in battaglia, combattente e vincitore dei criminali “signori della guerra” (Massud, Ismail Khan, Heckmatyar, Dostum) che nel conflitto scoppiato per impadronirsi del potere lasciato vacante dai sovietici, agivano nel più pieno arbitrio, assassinando, stuprando, taglieggiando, sbattendo fuori dalle case i legittimi proprietari per metterci i loro adepti. Omar nei suoi 6 anni di governo (1996-2001) riportò l’ordine e la legge, sia pur una dura legge, la Sharia, senza mai abbandonarsi agli eccessi feroci dell’Isis [Massimo Fini, Fat 30/7/2015].
 
• Infine per 14 anni è stato guida della rivolta contro gli ancor più arroganti e devastanti occupanti occidentali. Preso il potere il Mullah non ne approfittò mai e continuò a far la vita spartana che aveva sempre fatto. Un uomo di una morale e di una coerenza assolute. E, forse, è proprio questo che, alla fine, lo ha perduto. Che Allah ti abbia sempre in gloria, Omar [Massimo Fini, Fat 30/7/2015].