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 2015  luglio 30 Giovedì calendario

Carlo Pesenti, amministratore delegato di Italmobiliare, spiega al Sole 24 Ore le ragioni della cessione di Italcementi ai tedeschi, una operazione che sta raccogliendo apprezzamenti e critiche: «Non dimentichiamo che, se Italcementi è italiana, italiana è anche Italmobiliare, che nella transazione diventa primo socio industriale cementiere del secondo gruppo al mondo e incassa molta liquidità pronta ad essere reinvestita, anche in Italia»

«Il contatto con Heidelberg Cement è avvenuto ai primi di marzo. Non abbiamo usato banche d’affari o advisor, se non nella fase finale. La radice dell’operazione è stata puramente industriale. Dieci anni fa ho stilato io, insieme ai loro vertici, un accordo di trasferimento tecnologico e di know-how per uno dei nostri fiori all’occhiello: il cemento fotocatalitico, il cemento antismog. Dall’inizio della crisi, nel settore ha preso il via un processo di consolidamento. Italcementi è ora diventata parte del secondo gruppo al mondo. E lo ha fatto in una maniera armoniosa: la complementarietà di mercati e di specializzazione con Heidelberg Cement ci ha convinto che fosse la cosa giusta».
Carlo Pesenti, amministratore delegato di Italmobiliare, illustra le ragioni di una operazione che sta raccogliendo apprezzamenti e critiche. Apprezzamenti da chi ne vede il profilo finanziario (le azioni pagate molto bene dai tedeschi) e ne valorizza la ratio industriale (la necessità di entrare in un gruppo con una dimensione coerente con i mercati globalizzati). Critiche da chi invece ritiene che così un pezzo dell’economia italiana – anzi, un altro pezzo dell’economia italiana – passi sotto il controllo di un azionista straniero. Critiche a cui Pesenti reagisce con compostezza: «Non dimentichiamo che, se Italcementi è italiana, italiana è anche Italmobiliare, che nella transazione diventa primo socio industriale cementiere del secondo gruppo al mondo e incassa molta liquidità pronta ad essere reinvestita, anche in Italia».
Ingegner Pesenti, al di là delle diverse reazioni suscitate, quale è stato l’orizzonte strategico che vi ha convinti ad accettare le proposte di Heidelberg Cement?
In questo comparto è in corso un consolidamento dei big player globali. Alla fine dell’anno scorso avevamo manifestato interesse per le attività in Canada di Lafarge-Holcim. Dunque, pensavamo di incrementare il nostro perimetro dimensionale. Non avevamo alcuna intenzione di vendere. Poi, in primavera abbiamo iniziato a parlare con il gruppo tedesco, che fattura 13 miliardi di euro e ha una capitalizzazione di 14 miliardi di euro, mentre Italcementi ha ricavi pari a 4,5 miliardi di euro e una capitalizzazione di 2 miliardi di euro. Da subito, analizzando i profili tecnologici e industriali, ma anche di mercato e di filiere, le due realtà si sono confermate insieme compatibili e appunto complementari. Tanto da prospettare per Italcementi, in una realtà con una caratura globale simile alla sua ma con un altro livello dimensionale, nuove sinergie, nuove creazioni di valore e nuove strade di sviluppo. Insomma, da subito ci è sembrato che Italcementi potesse evolvere in qualcosa di molto più solido e robusto.
C’è, poi, stato il passaggio della determinazione del prezzo, che è stato fissato con un premio del 70% rispetto alla media del valore borsistico degli ultimi tre mesi.
In una seconda fase, abbiamo condiviso con i vertici di HeidelbergCement la valutazione di Italcementi. E loro si sono mostrati disponibili a riconoscere il valore del know-how, il marchio e la presenza su mercati internazionali non coperti dalle loro strutture. A quel punto, come Italmobiliare, abbiamo scambiato il 45% di Italcementi con la posizione di primo socio industriale cementiero del secondo gruppo al mondo.
Quanto ha pesato, nella vostra scelta, l’esposizione del portafoglio di Italmobiliare su un settore così ciclico come il cemento?
Indubbiamente ha influito. Italmobiliare ha sostenuto Italcementi nella crisi. Dal 2010, in maniera diretta e indiretta, abbiamo investito in Italcementi mezzo miliardo di euro. In Italmobiliare era opportuno trovare un maggiore equilibrio di portafoglio. Alla fine dell’operazione, la partecipazione in HeidelbergCement peserà per una quota compresa fra il 35 e il 40 per cento sul Net Asset Value di Italmobiliare. Prima il cemento valeva oltre il 70 per cento. Nella nuova Italmobiliare, il 15% del nostro Nav sarà costituito da altre partecipazioni industriali, per esempio nelle energie rinnovabili, nel packaging alimentare e nell’e-procurement. Un ulteriore 13% è fatto di partecipazioni nelle banche e nell’editoria. Il resto sarà rappresentato dalla liquidità, frutto soprattutto della cessione di Italcementi. Questa liquidità dovrebbe ammontare a circa 750 milioni. Non abbiamo ancora deciso che cosa farne. Né in termini settoriali, né in termini di profilo di rischio, né in termini geografici. Anche per il futuro, varrà la stessa regola adottata con l’offerta di HeidelbergCement: la governance di Italmobiliare guiderà le nostre prossime scelte di investimento.
Secondo quali procedure avete deciso di accettare l’offerta?
Naturalmente io e mio padre, Giampiero, ne abbiamo parlato. Fin dalle prime battute, dunque fin dai colloqui preliminari con la controparte tedesca, abbiamo però coinvolto il Comitato esecutivo e il Consiglio di amministrazione di Italmobiliare. Il metodo e il rigore sono essenziali. Questo tipo di decisione non si porta in consiglio all’ultimo minuto, solo per farla ratificare. E la stessa strutturazione di corporate governance guiderà le nostre prossime scelte imprenditoriali.
La globalizzazione impone precise scale dimensionali. Scale dimensionali di tipo finanziario-patrimoniale, logistico-produttivo e di accesso al mercato. Avete mai pensato ad altre vie, squisitamente italiane, per aumentare la vostra stazza?
No, non ci abbiamo pensato e non sarebbe stato possibile. Premesso che noi assegniamo un grande valore alla diversificazione geografica non c’erano altri operatori globali che, partendo dall’Italia, potessero garantire una maggiore creazione di valore rispetto ad HeidelbergCement.
Come interpreterete il vostro ruolo di azionisti in HeidelbergCement?
Speriamo di potere dare il nostro contributo allo sviluppo delle strategie. L’azionista di controllo, la famiglia Merckle, ha molti investimenti diversificati. Il cemento non è il suo primo business. Per noi lo è da oltre centocinquanta anni. In questa nuova realtà, cercheremo di portare la nostra visione del mercato e la nostra esperienza in questa particolare specializzazione industriale.
Avete posto clausole di sicurezza occupazionale per gli stabilimenti italiani?
No, non ce n’è stato bisogno. Negli ultimi due anni abbiamo portato la realtà di Italcementi a un livello dimensionale coerente con il mercato italiano, attuale e prossimo venturo. Prima avevamo 18 cementerie. Adesso sono sei quelle a ciclo completo e tre quelle per la sola macinazione. Dunque, l’Italia ha già un preciso equilibrio e una sua definita efficienza. Inoltre, va considerato che l’operazione con HeidelbergCement non prevede sovrapposizioni da cui possano scaturire tagli e razionalizzazioni. Soprattutto in Italia. Gli unici Paesi in cui vi sono delle duplicazioni manifatturiere sono il Belgio e gli Stati Uniti.
Quale tipo di reazione vi aspettate dal vostro management?
Il management di Italcementi è di grande qualità. E, da subito, potrà inserirsi in un gruppo di cui è nota la capacità, sul mercato, di assorbire le competenze esterne. I tedeschi hanno un modello organizzativo diverso da quello di Italcementi. Hanno effettuato diverse acquisizioni. E hanno sempre manifestato il desiderio di mantenere la specificità dei brand e l’autonomia delle società che entrano a fare parte del loro gruppo. Viste queste condizioni di partenza, penso che potremo contribuire allo sviluppo di HeidelbergCement con la nostra cultura industriale e la nostra cultura manageriale.
Oltre centocinquanta anni non sono uno scherzo. Il rapporto di voi Pesenti e di Italcementi con la vostra comunità, in particolare la città di Bergamo, è sempre stato strettissimo. Quale tipo di reazione pensate stia producendo questa vostra scelta?
Siamo a Bergamo da fine Ottocento. Mio nonno Carlo e mio padre Giampiero hanno fatto moltissimo per questa gente e per questi luoghi. Bergamo oggi è molto cambiata. È una città aperta al mondo, dove operano diverse grandi realtà industriali che sono internazionalizzate quanto lo è la nostra. Non è più la città di cento anni fa. Il che non vuol dire che sfilacceremo il rapporto con la nostra comunità. Anzi, nonostante la società e l’economia siano cambiate, da parte nostra continueremo ad operare per lo sviluppo del territorio. E lo faremo, come sta peraltro accadendo dal 2004, adoperando lo strumento della Fondazione Pesenti.
Ingegnere, come elemento accessorio della vostra scelta, esiste o no anche un tema di “stanchezza dell’imprenditore” in un Paese maledettamente complicato come l’Italia?
No, in questo caso non esiste. Non c’è una correlazione fra questa decisione e i problemi sistemici italiani. Prima di tutto perché l’Italia è un mercato che vale non più del 15% sui ricavi consolidati di Italcementi. E, poi, perché in questa scelta, che trasforma Italcementi in qualcosa di più forte e a maggiore potenzialità di sviluppo di quanto non fosse prima e rende Italmobiliare il primo socio cementiero del secondo gruppo al mondo, hanno contato soltanto le nuove logiche imposte dal capitalismo globalizzato. Noi non ci dimettiamo da imprenditori. Tutt’altro. Continueremo a esserlo. Con le attività che abbiamo. E con quelle in cui decideremo in futuro di investire. Con la passione e l’energia che durano da 150 anni.