la Repubblica, 29 luglio 2015
Il conte di Segur, l’incoerente aristocratico che conquistò la zarina. Ambasciatore straordinario sotto la Rivoluzione, consigliere di Stato sotto il Consolato, Gran Maestro delle cerimonie sotto Napoleone, senatore sotto la prima Restaurazione, schieratosi nuovamente dalla parte dell’Imperatore durante i Cento Giorni, nei primi anni della seconda Restaurazione conobbe un po’ di ostracismo ma finì per ritrovare il suo posto di senatore
A partire dal 1815, con la fine dell’epopea napoleonica, furono numerosi i francesi che sentirono la necessità di fare i conti con il passato e lasciare memoria scritta degli eventi a cui avevano preso parte. Non stupisce che Louis-Philippe de Ségur fosse uno di loro, visto che era riuscito ad attraversare felicemente molti regimi politici. Nato nel 1753, e avviato a una brillante carriera militare e diplomatica sotto Luigi XVI, il conte fu, infatti, ambasciatore straordinario sotto la Rivoluzione, consigliere di Stato sotto il Consolato, Gran Maestro delle cerimonie sotto Napoleone, senatore sotto la prima Restaurazione. Schieratosi nuovamente dalla parte dell’Imperatore durante i Cento Giorni, il conte conobbe, è vero, un periodo di ostracismo nei primi anni della seconda Restaurazione, ma finì per ritrovare il suo posto di senatore. E poiché non aveva certo brillato per la coerenza delle sue idee politiche, volle giustificarsene prima di morire. Figlio primogenito del marchese di Ségur, ministro della guerra maresciallo di Francia, Louis-Philippe compì una carriera militare in tempi record e a trent’anni era già colonnello di un reggimento che portava il suo nome. Ambizioso, intelligente, volitivo, egli seppe coniugare privilegio della nascita e favore reale al merito personale. Dopo avere compiuto degli ottimi studi, iniziò la sua scalata al successo frequentando i salotti parigini più in vista, acquisendo un perfetto uso di mondo, cimentandosi con i generi letterari alla moda e riuscendo ad assicurarsi la protezione di Maria Antonietta. La sua volontà di emergere non gli impedì di essere un idealista sincero e la guerra d’Indipendenza americana gli rivelò che l’utopia del migliore dei mondi possibili poteva diventare realtà. L’esperienza lo segnò profondamente e, come scrisse alla sua giovane moglie, era lì, nel paese della libertà, che egli avrebbe voluto vivere. Fu invece alla volta della Russia autocratica di Caterina che, ottenuto l’incarico di ambasciatore, il conte partì pochi mesi dopo il suo ritorno dagli Stati Uniti, con una missione tutt’altro che facile.
Per molti anni le relazioni diplomatiche tra i due paesi erano state burrascose: Caterina corteggiava i philosophes, era in corrispondenza con Voltaire, faceva incetta di opere d’arte francesi ma detestava Luigi XV e Choiseul che non facevano mistero di considerarla un’avventuriera senza scrupoli. L’avvento al trono di Luigi XVI aveva portato un clima di apparente disgelo, anche se i progetti espansionistici dell’imperatrice ai danni della Polonia e della Turchia rimanevano inaccettabili per Versailles. Il margine di manovra per ristabilire il prestigio francese e stringere rapporti economici era inesistente, ma Ségur non si perse d’animo. Egli capì che a San Pietroburgo doveva puntare sui propri atout di cortigiano: quella assoluta padronanza della parola che rendeva insuperabile la diplomazia francese. Riuscì non solo a piacere alla Semiramide del Nord – come la chiamava Voltaire – ma ad entrare anche nelle grazie del suo favorito, il principe Potemkine, dichiaratamente ostile alla Francia.
L’arrivo al potere di Napoleone cambiò la sua situazione, riaprendo il capitolo dell’ambizione. Aveva imparato l’arte di adattarsi e seppe farlo con diplomatica eleganza per tutto il resto della sua lunga carriera pubblica. Morì all’età di settantasette anni, il 27 agosto 1830.
I risultati non si fecero attendere e il conte ebbe il privilegio di essere invitato, assieme all’ambasciatore austriaco e a quello inglese e al principe di Ligne, ad accompagnare l’imperatrice in un viaggio destinato a entrare nella leggenda. Ideato da Potemkine in occasione del venticinquesimo anno di regno di Caterina, esso costituiva la presa di possesso ufficiale della zarina degli immensi territori da lui conquistati a sud dell’impero e, in particolar modo, della penisola della Crimea. Si trattava di una acquisizione di grande importanza strategica che assicurava alla Russia uno sbocco sul Mar Nero. Non pago dei suoi successi, il principe voleva ora spingere Caterina a realizzare il loro sogno comune di muovere alla conquista di Costantinopoli. Quarant’anni dopo, Ségur avrebbe lasciato nelle sue Memorie una testimonianza preziosa della straordinaria spedizione.
Era il primo maggio 1787 quando Caterina si imbarcò a Kiev sulla prima delle galere che seguendo il corso del Nieper doveva portarla in Crimea. Lo straordinario corteo acquatico era costituito da sette vere e proprie case galleggianti, arredate con sfarzo inaudito e seguite da un’ottantina di imbarcazioni con tremila uomini di equipaggio. Mentre la zarina si intratteneva con i suoi ospiti e Ségur e Ligne animavano la conversazione con un inesauribile repertorio di argomenti e non si stancavano di improvvisare madrigali, proverbi, enigmi, una stupefacente fantasmagoria si rinnovava giorno dopo giorno sotto gli occhi dei viaggiatori. Delle città, dei villaggi parati a festa, degli archi di trionfo, degli splendidi giardini sorgevano lungo le due rive del fiume, in regioni, fino a pochi anni prima quasi disabitate. Greggi e armenti innumerevoli scorrazzavano per le praterie, drappelli di cosacchi a cavallo inscenavano coreografie guerriere; gruppi di contadini plaudenti erano schierati lungo le rive, un nuvolo di imbarcazioni piene di giovani e di fanciulle in costume si affiancavano di continuo alla flotta imperiale intonando canzoni e offrendo fiori e rustici doni.Il regista di questo spettacolo fiabesco era naturalmente Potemkine, ma il ministro non era solo un grande illusionista. Il suo incredibile tour de force non sarebbe stato possibile senza la gigantesca opera di colonizzazione e di sviluppo commerciale da lui già avviata negli immensi territori conquistati. Intanto, la notizia della presa della Bastiglia e l’entusiasmo che il fatto aveva suscitato a Mosca allarmò l’imperatrice che volle evitare il contagio dell’epidemia libertaria con i metodi che le erano propri: la censura, il controllo, l’intimidazione. La posizione di Ségur diventò insostenibile e nell’ottobre del 1789, non senza emozione, il conte fece i suoi addii all’autocrate di tutte le Russie che gli testimoniò una volta di più la sua benevolenza. I Mémoires di Ségur si interrompono con il suo rientro a Parigi, dove Ségur non tardò ad accorgersi di quanto la situazione politica fosse difficile e si guardò bene dal prendere posizione per questo o quel partito e si ritagliò un ruolo di mediatore tanto fra la corte e l’Assemblea che all’interno dello schieramento monarchico costituzionalista. Dopo un’ultima disastrosa missione diplomatica a Berlino, malato e senza più illusioni, il conte si ritirò con la famiglia in una modesta casa di campagna nelle vicinanze di Parigi cercando di farsi dimenticare. La Rivoluzione, in effetti, si dimenticò di lui ed egli passò gli anni successivi in condizioni di estrema povertà, coltivando patate, dando lezioni ai figli, e riuscendo a sopravvivere grazie ai pochi proventi che gli venivano dalla sua attività di poligrafo.
L’arrivo al potere di Napoleone cambiò la sua situazione, riaprendo il capitolo dell’ambizione. Aveva imparato l’arte di adattarsi e seppe farlo con diplomatica eleganza per tutto il resto della sua lunga carriera pubblica. Morì all’età di settantasette anni, il 27 agosto 1830.