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 2015  luglio 29 Mercoledì calendario

Che fine hanno fatto i figli del Raìs. L’Oman ha aperto le sue porte alla seconda moglie del dittatore, Safia Farkash, al figlio Hannibal, a sua moglie, alla figlia Aisha, alla sua bambina nata in Algeria e alla famiglia del figliastro Mohammed, il primogenito di Gheddafi. Ad Al-Saadi, il terzogenito, è andata molto peggio. Dopo aver cercato gloria come calciatore in Italia era riuscito a mettersi in salvo in Niger, ma dopo una trattativa con il governo libico (si parla di due milioni di dollari), l’ospite è stato riconsegnato a Tripoli. Ora è in attesa di una probabile condanna a morte, come è successo al fratello Saif. Mutassim, il quartogenito, è stato ucciso a freddo poche ore dopo il padre, al termine di un interrogatorio, mentre il più piccolo Khamis, «il macellaio», è stato dato più volte per morto ma il suo corpo non è mai stato trovato. Si sono perse le tracce invece dei due figli adottivi

Braccati dai servizi segreti e dall’Interpol, consegnati (più probabilmente venduti) dal Niger alla Libia, oppure in fuga dall’Algeria all’Oman: dal 2011, l’anno della rivoluzione, per i famigliari del colonnello Gheddafi la ricerca di un riparo sicuro non è mai terminata; o è terminata male, in un affannato periplo tra Africa e Asia.
Dall’ottobre del 2012, quando il sultanato dell’Oman ha aperto le sue porte, per «motivi umanitari», alla seconda moglie del dittatore, Safia Farkash, al figlio Hannibal, 40 anni, con moglie, alla figlia Aisha, 39, e alla famiglia del figliastro Mohammed, il primogenito di Gheddafi, nato nel 1970 dal matrimonio (durato appena sei mesi) con l’insegnante Fatiha al-Nuri, la continuità del clan sembra assicurata dai nipoti. Aisha è mamma di una bimba, Safia come la nonna, nata in Algeria, dove l’unica figlia femmina del raìs era appena arrivata scappando da Tripoli.
Ad Al-Saadi, 42 anni, il terzogenito, è andata molto peggio. Poco interessato al potere aveva cercato la gloria in Italia come calciatore, giocando qualche anno nel Perugia, nell’Udinese e nella Sampdoria. Ma all’inizio della rivolta, fu inviato dal padre a difendere Bengasi. Sembrava riuscito a mettersi in salvo in Niger, dopo aver raggiunto il confine via terra e ottenuto asilo politico, ma anche una sistemazione agli arresti domiciliari. Dopo una trattativa con il governo libico (e, si sussurra, un accordo da due milioni di dollari), l’ospite è stato riconsegnato e incarcerato a Tripoli nel penitenziario di al Hadhba. In attesa di una probabile condanna a morte.
Mutassim, il quartogenito, tenente colonnello dell’esercito, playboy e festaiolo, ha combattuto con il padre fino alla fine. Catturato dai ribelli a Sirte, il giorno della morte di Gheddafi, è stato ucciso a freddo poche ore dopo, al termine di un interrogatorio. Aveva 37 anni.
Pochi mesi prima, il 30 aprile 2011, in un bombardamento condotto dalla Nato, era morto anche il fratello minore, quello dal profilo più basso, Saif al-Arab, o «la Spada degli Arabi», sepolto a 29 anni sotto le macerie di casa, assieme a tre nipoti, figli di Mohammed, Hannibal e Aisha. Fino all’anno precedente aveva vissuto in Germania, a Monaco, dove aveva studiato all’Università Tecnica, ma all’inizio della guerra il padre lo aveva voluto alla testa delle milizie di Tripoli.
Il più piccolo, Khamis, 28 anni nel 2011, era anche il più famigerato dei figli di Gheddafi: con il grado di colonnello era a capo della feroce 32esima Brigata, e si era guadagnato sul campo il titolo di «macellaio». È stato dato più volte per morto in battaglia, o sotto i missili di un Apache della Raf. Ma il suo corpo non è mai stato trovato. E per i lealisti, è ancora vivo, anche se la sua morte era stata ufficialmente annunciata (poi smentita) il 29 agosto 2011.
Si sono perse le tracce pure dei due figli adottivi di Gheddafi: Hanna, laureata in Canada e poi dottoressa in un ospedale di Tripoli, e il nipote Milad.