La Stampa, 28 luglio 2015
Nella Palestra di botta e risposta, dove si esercita la retorica, l’arte colta della disputa e della controversia. Tra vizi di logica, ambiguità linguistiche, introduzione di elementi che non c’entrano i ragazzi imparano il diritto-dovere di discutere e il piacere di confrontarsi. E, dato da non sottovalutare, prendono voti altissimi alla maturità
Sì, il dibattito sì. Non quello temutissimo dei dopo-cineforum d’essai fantozziani, ma quello nobile della migliore tradizione classica. «Il dibattito sì, perché la retorica, l’arte colta della disputa e della controversia, sono nate in Sicilia e Magna Grecia, le abbiamo praticate a Roma e nelle università medievali e poi, come altre nostre cose buone, le abbiamo cedute oltreoceano e fatte diventare una specialità anglosassone di cui vanno fieri. Mentre qui ne abbiamo un gran bisogno».
Ne è convinto Adelino Cattani, professore di Teoria dell’Argomentazione all’Università di Padova, che porta avanti per l’Italia come un missionario un progetto di formazione al dibattito e una «Palestra di botta e risposta» con tanto di tornei regionali e nazionali.
«In Italia abbiamo una grande quantità di scuole di scrittura, ma ne servirebbero prima di ragionamento», spiega, aggiungendo che questa formazione abituerebbe proprio a quel pensiero inferenziale di cui le indagini Invalsi certificano drammaticamente la mancanza negli studenti. «I ragazzi escono dalle superiori con un bagaglio di sapere emozionale-associativo, non argomentativo», continua il professore, che ha deciso, oltre ai corsi e circoli di dibattito che tiene in università, di iniziare un percorso con gli studenti delle superiori per insegnare loro a «difendere le proprie idee, foss’anche per sostenere che Bonvesin de la Riva è più grande di Dante». Le scuole coinvolte sono soprattutto venete, ma il progetto ha già raggiunto Cosenza, Roma, i licei Faes a Milano e, da ottobre, il Gioberti di Torino.
La formula? Un quesito chiaro, due posizioni contrapposte, un podio, tre giudici che valutano qualità quantità e pertinenza degli argomenti e capacità di esposizione. Ponendo le ragioni sui piatti «della bilancia della ragione», i ragazzi imparano il diritto-dovere di discutere e il piacere di confrontarsi. E, dato da non sottovalutare, prendono voti altissimi alla maturità.
Prima, però, devono prepararsi. Come? Con i corsi del professor Cattani e dei suoi assistenti, che insegnano loro innanzitutto la ricerca delle fonti. «Se la fonte è per tutti Wikipedia, il dibattito non c’è». E siccome nella vita conta aver ragione ma anche farsela riconoscere, il corso fornisce stratagemmi e trucchi per presentare i propri argomenti in modo che siano più persuasivi. La retorica di Aristotele era la capacità di scoprire ciò che c’è di persuasivo in un discorso, mentre oggi la percepiamo spesso come manipolazione, e non senza ragione. Se infatti sottoponessimo i talk televisivi ai criteri di «qualità quantità e pertinenza» validi per il torneo, quanti passerebbero il turno?
Per questo il professore mette in guardia gli allievi sui principali vizi presenti nei discorsi ingannevoli. «Sono una cinquantina, tra vizi di logica, ambiguità linguistiche, introduzione di elementi che non c’entrano». Un esempio? «Se uno studente vuole 30 all’esame, deve trovare altre ragioni rispetto al “sennò mi rovina la media” che tecnicamente sarebbe un “argumentum ad misericordiam”».
La Palestra, qualche settimana fa, si è trasferita a Expo per un dibattito pro/contro gli Ogm e a breve entrerà nel vivo del torneo nazionale. Sabato uscirà il quesito su cui, a settembre, dibatteranno le scuole finaliste. I ragazzi, quindi, studieranno. E il professor Cattani? «Come Virgilio starò “sub tegmine fagi” nella vigna; perché valutare un dibattito è difficile come valutare un vino».