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 2015  luglio 28 Martedì calendario

La battaglia dei divorziati: «Non vogliamo più essere clandestini nella Chiesa». Dopo le aperture di Papa Francesco i risposati puntano sul Sinodo, in cerca di una via per ricevere di nuovo la comunione

«Francesco fa come Gesù, non va contro la legge ma oltre la legge. Così speriamo faccia con noi divorziati risposati. In modo da insegnare a tutti ad essere un po’ meno cattolici e più cristiani». Elio Cirimbelli, dal 1986 direttore e fondatore del Centro Assistenza separati e divorziati e Centro di Mediazione Familiare Asdi di Bolzano, primo e unico Centro in Italia ad occuparsi professionalmente della sofferenza di chi ha dovuto attraversare l’esperienza del fallimento matrimoniale, parla con cognizione di causa: «Ventiquattro anni fa – racconta – Helga e io ci sposavamo civilmente in Comune. La sera prima un amico sacerdote che non è più tra noi, celebrò una messa benedicendo i nostri anelli e noi “clandestinamente”. La speranza è che con il Sinodo per la famiglia qualcosa possa cambiare e magari per il nostro 25esimo di matrimonio un sacerdote possa benedire la nostra unione non più clandestinamente».
Sono tanti i divorziati risposati che sperano in Francesco. E di conseguenza nel Sinodo, che a ottobre potrebbe arrivare a nuove soluzioni pastorali. Certo, Francesco non sembra essere intenzionato a fare strappi sua sponte: se qualcosa cambierà dovrà essere il risultato della consultazione comune. Eppure, a fronte di diversi vescovi e cardinali che ripetono che «la dottrina non si cambia», ve ne sono altri disposti a trovare strade inedite. Un gruppo di teologi convocati dal Pontificio Consiglio per la famiglia, ad esempio, ha messo nero su bianco una proposta che, se accettata, porterebbe a concedere l’eucaristia ai divorziati risposati senza dare alla seconda unione carattere sacramentale. Mentre vie diverse esistono e si provano a mettere in pratica un po’ ovunque nel mondo cattolico, anche per evitare una pratica mai tramontata: alcuni sacerdoti, nel segreto della confessione, concedono la dispensa per l’eucaristia, anche se lo fanno più per compassione che per altro.
Qualcosa si muove, insomma. Ad esempio a Milano. Era il 10 febbraio del 2013 che in una lettera la diocesi spiegò che i divorziati risposati al momento della comunione possono accostarsi comunque al presbitero o al diacono «per ricevere una benedizione compiendo un gesto quale quello di incrociare le braccia sul petto». Una pratica, quest’ultima, non percorsa ovunque seppure c’è chi ne trarrebbe giovamento. Così Tiziana G., aderente dei Focolari, che ha visto il proprio matrimonio naufragare dopo tredici anni. «Il motivo – spiega – l’ho capito dopo. Oggi mio marito sta cambiando sesso. Io convivo con un altro uomo ma soffro perché ho una fede molto forte. Spesso mi sento fuori dalla Chiesa e non dentro di essa e ciò mi fa star male. La sofferenza maggiore è non potere accedere all’eucaristia. Per me sarebbe già tanto potermi alzare al momento della comunione per poter ricevere dal sacerdote una benedizione». All’interno della storia inaugurata da Chiara Lubich si praticano nuovi cammini per coloro che vivono la separazione. Fra questi la presa di coscienza che esistono altre forme, oltre all’eucaristia, per sperimentare la presenza di Dio. Come a dire: non è soltanto nell’eucaristia che si può avere la piena unione con Dio. Gesù è presente nella sua Parola da mettere poi in pratica, nel silenzio della preghiera e nell’ascolto della sua voce, nella condivisione con chi è nel bisogno, nella comunione con il prossimo e anche, forse soprattutto, nella croce. Dice Anna Friso, esponente di “Famiglie Nuove” dei Focolari: «Quanti divorziati risposati vivono la stessa sofferenza che fu di Cristo in croce? Vivono il medesimo senso di abbandono. Eppure è proprio qui che possono essere, e molti si sentono, in modo particolare a lui uniti». Eppure per alcuni vescovi il problema non si pone. Perché, dicono, coloro che davvero desiderano tornare all’eucaristia sono numericamente irrilevanti. Risponde in proposito Cirimbelli: «È un forte atto di presunzione dire “è un problema di pochi”. Se riusciamo ad alleviare la sofferenza anche di una persona ben venga. La sofferenza è talmente tanta che se fossi un buon pastore non avrei questa preoccupazione. Del resto è stato Gesù a dire che se su cento pecore una si è smarrita occorre lasciare tutto per andare a cercarla. Così fa la Chiesa ortodossa, per la quale la formazione di una nuova coppia è di per sé una benedizione. Una constatazione che mi auguro impari a fare presto anche la Chiesa cattolica».
La medesima cosa se la augura Franco Ferrari, fondatore e presidente di “Viandanti, un’associazione e una Rete di 29 realtà laicali, che dice: «Solo ora la Chiesa sembra scoprire che anche le coppie credenti vanno in crisi. Si tratta di riconvertire una pastorale familiare strabica, che punta molto sulla preparazione al matrimonio e che sostanzialmente sorvola su ciò che accade dopo. Sappiamo, però, che di per sé il sacramento non è una garanzia di riuscita».