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 2015  luglio 28 Martedì calendario

Tagli alla sanità, è caos in Senato sul decreto: per quattro volte salta il numero legale. Oggi possibile fiducia sul provvedimento con il tetto a esami e analisi. Il ministro Boschi: «Nessun problema di maggioranza». La protesta di Regioni e medici

È caos sui tagli alla sanità. Dopo il pressing del governo attraverso l’annuncio di un intervento su prestazioni e ospedali nell’ambito della spending review ieri il decreto che contiene il nuovo Patto per la salute, firmato dalle Regioni ai primi di luglio, ha subito una brusca battuta d’arresto. L’aula del Senato per ben quattro volte non è riuscita a raggiungere il numero legale necessario a dar corso all’esame del provvedimento (che prevede tagli e risparmi per 2,3 miliardi nel 2015 e altrettanti nel 2016) e tutto è stato rinviato ad oggi quando con tutta probabilità l’esecutivo porrà la fiducia. Irritazione della ministra per i Rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi: «Alcuni senatori della maggioranza hanno sottovalutato l’importanza di garantire la presenza in aula, ma non è un problema di maggioranza», ha dichiarato in serata dopo una giornata segnata dalle polemiche. Le defezioni comunque ci sono state: i conteggi di fine serata dicono che erano presenti 19 senatori di Ncd su 36, quindi circa la metà, e 6 senatori su 19 per il gruppo delle Autonomie. Per il Pd erano invece presenti 95 senatori su 113, circa l’85 per cento.
Il piano contenuto nel Patto della salute, oltre a prevedere risparmi su beni e servizi per 1,3 miliardi, dispone un taglio delle prestazioni «inappropriate», probabilmente del 15 per cento, con l’obiettivo di contrastare la cosiddetta «medicina difensiva»: medici che, per mettersi al riparo da eventuali grane giudiziarie, concedono analisi e visite specialistiche con troppa facilità. Per questo motivo dopo l’approvazione del decreto, entro un mese, si attende un provvedimento della ministra per la Salute Beatrice Lorenzin, che rivedrà l’elenco delle prestazioni condizionandole a criteri più stringenti quanto ad età, situazione del paziente, numero di accertamenti. Chi non rispnde ai criteri dovrà pagare di tasca propria. Sebbene una indagine del ministero della Salute abbia rilevato che 77,9 per cento dei medici dichiari di aver praticato la «medicina difensiva», la stretta (che prevede anche tagli di stipendio ai medici inadempienti) mette in discussione la deontologia dei sanitari e scatena polemiche. Senza contare che non tutti i pazienti sono ipocondriaci e lo stato di ansia di chi teme di avere una malattia deve comunque avere una risposta.
Così nel mondo dei medici di famiglia e ospedalieri ieri si è scatenata una vera e propria rivolta: «La verità è che si tratta di bluff da parte delle Regioni. Si sta scaricando sui medici la responsabilità ma noi la rispediamo al mittente. Adesso si svilupperà un’altra medicina difensiva: il medico prescriverà sempre le stesse cose ma in più dovrà dire al paziente: questo dovrai pagarlo tu», ha osservato Giacomo Milillo, segretario della Federazione italiana medici di famiglia. Sul piede di guerra anche i medici ospedalieri: «Le parole del commissario Gutgel nell’intervista a Repubblica, e più ancora l’emedamento del governo che traduce in legge un taglio lineare del fondo sanitario nazionale testimoniano che ancora una vola la sanità è un bancomat. Per pagare meno Imu rischiamo di pagare più farmaci e visite mediche», ha detto il segretario di Anao-Assomed Costantino Troise. Anche le Regioni, in prima linea a dover render conto delle prestazioni ai cittadini, cominciano ad alzare il tiro. Duro il coordinatore degli assessori regionali alla Sanità Luca Coletto: «Se si prosegue così, salta il sistema della universalità della sanità pubblica. In sostanza – avverte – oltre alle tasse, gli italiani dovranno pagare le prestazioni sanitarie privatamente». Scatenate opposizioni: per Sel le misure messe in campo dal governo sono «irricevibili», mentre M5S parla di diritto alla salute «optional».
Per i cittadini l’attesa riguarda l’elenco delle prestazioni che rischiano di diventare a pagamento. Solo il decreto dirà quali, ma già un’idea si può avere sulla base dell’elenco delle dieci prestazioni più gettonate e costose realizzato dalla relazione Cottareli dell’ottobre del 2014. Le prestazioni nel mirino, esaminate nel biennio 2012-2013, sono soprattutto Tac e risonanze magnetiche: il segnale di allarme, dal punto di vista dei costi, viene posto sulle risonanze agli arti probabilmente più esposte alle fratture (polso, spalla, braccio, ginocchio, femore). A rischio di eccesso di esplorazione, sempre secondo il lavoro della commissione, anche le risonanze della colonna (cervicale, lombosacrale e toracica) che potrebbero essere sovraprescritte. Nella classifica degli esami nel mirino ci sono tuttavia anche accertamenti assai più seri: risonanze del cervello e del tronco encefalico, tomoscintografia celebrale e globale corporea. Vedere in che circostanze la richiesta del paziente derivi da uno stato di ansia e da ipocondria che potrà essere soddisfatto solo a pagamento oppure si tratti di una vera necessità, sarà compito del prossimo decreto Lorenzin.
La sorte del provvedimento enti locali, un decreto super omnibus, sembra tuttavia segnata: con la fiducia sarà approvato e diventerà legge dopo il passaggio alla Camera entro l’8 agosto. Nel provvedimento ci sono misure cruciali: come il rinvio ad ottobre della clausola di salvaguardia sull’aumento della benzina, la sanatoria per i dirigenti dell’Agenzia delle entrate e 530 milioni per i Comuni (ex Tasi 2014).