Il Messaggero, 28 luglio 2015
Delitto di Avetrana. L’appello conferma l’ergastolo per Sabrina e Cosima: «Sono state loro a uccidere Sarah Scazzi». La sentenza non riduce neanche la pena a zio Michele Misseri: otto anni per aver occultato il corpo di sua nipote. Dopo novanta ore di camera di consiglio, si chiude così, nell’aula della Corte d’Assise d’appello di Taranto, un’altra pagina di questo orrido intreccio di violenze, omertà, rancori familiari finito con il cadavere di una ragazzina in un pozzo
Ergastolo per Cosima, ergastolo per Sabrina. Il processo d’appello per l’omicidio di Sarah Scazzi – la nipote di Cosima, la cugina di Sabrina – si risolve in una totale conferma della sentenza di primo grado, pronunciata ormai quindici mesi fa. Come pienamente confermati sono anche gli otto anni di carcere per Michele Misseri – il marito di Cosima, il padre di Sabrina, lo zio della povera Sarah – perché ritenuto responsabile di soppressione di cadavere.
Alle otto e mezza della sera, dopo novanta ore di camera di consiglio, si chiude così, nell’aula della Corte d’Assise d’appello di Taranto, un’altra pagina di questa tragica storia, di questo orrido intreccio di violenze, di omertà, di rancori familiari, che nella memoria collettiva è custodito come il Delitto di Avetrana. L’impianto accusatorio della Procura non risulta neppure scalfito da questo secondo verdetto, agli avvocati di Cosima e Sabrina non resta ora che la Cassazione.
Era presente in aula anche stavolta Michele Misseri (mentre non c’era Concetta, la madre di Sarah), il diabolico contadino attorno a cui le indagini si sono all’inizio attorcigliate, il saltimbanco delle verità «progressive», ogni volta diverse, che cominciò con l’accusarsi lui stesso del delitto di quella ragazzina e poi chiamò in causa la figlia, Sabrina, fino ad accusare, con la terza micidiale capriola, solo e solamente lei, la sua adorata ragazza. Lo confermò una sera del 19 novembre 2010, quasi tre mesi dopo il delitto, in un incidente probatorio che apparve la chiusura definitiva del caso. E lo sarebbe stato se Michele Misseri non fosse tornato ad accusarsi lui e lui solo del delitto, senza però trovare un magistrato, in nessuna procura d’Italia, disposto ad ascoltarlo.
LE «VERITÀ» DI MICHELE
«Neanche stavolta mi hanno creduto» lo hanno sentito sibilare alla lettura della sentenza del presidente Rosa Patrizia Sinisi. E come avrebbero potuto? Come avrebbero potuto i giudici fidarsi delle sue giravolte e accantonare la montagna di indizi raccolti su Cosima e Sabrina? Perché in tutti questi anni una sola volta Michele Misseri ha detto sicuramente la verità, e lo ha fatto la sera del 6 ottobre di quell’anno, in una caserma dei carabinieri, dopo nove ore di interrogatorio, indicando il pozzo delle campagne di Avetrana dove era stato gettato il cadavere di Sarah. Il corpo era davvero là, lo illuminarono nella notte le cellule fotoelettriche dei Carabinieri.
Le indagini fecero presto a mettere al centro della scena Sabrina, e non solo per i racconti del padre. Perché Sabrina, 22 anni, parrucchiera di paese, aveva avuto un furibonda lite con Sarah giusto la sera prima della scomparsa. Perché di mezzo c’era il bello del paese, Ivano Russo, che di Sabrina non voleva più saperne e invece passava ore con Sarah, con i suoi 15 anni così bisognosi di «coccole».
Era un giorno di fine estate, il 26 agosto, quando Sarah sparì, lei e suoi sogni di andar via, a Milano dal padre, lei e i suoi tre account su facebook, lei e tutte le malevolenze che si portava dietro, così giovane, così bella, così sveglia. Sparì in quei 700 metri che separano la sua casa di via Verdi dall’abitazione della famiglia Misseri. Disse alla mamma che sarebbe andata al mare con Sabrina e le sue amiche, aveva il costume in borsa e i sandaletti ai piedi. Erano le due meno dieci, cinquanta minuti dopo sarebbe scattato l’incredibile allarme proprio di Sabrina: «L’hanno presa, l’hanno presa».
«LA STRANGOLARONO IN DUE»
Invece l’avevano presa loro, almeno a dar retta al racconto di un fioraio, Giovanni Buccolieri. Perché Sarah c’era arrivata davvero a casa Misseri, diciamo intorno alle due, e ne era uscita di corsa, dopo una lite furiosa. Il fioraio raccontò di aver visto Cosima e Sabrina nella loro Opel per le strade del paese, di averle notate mentre raggiungevano Sarah che scappava, per costringerla a salire sull’auto. Salvo poi, il fioraio, rimangiarsi tutto, sostenere di averlo solo sognata quella scena. Per questo è finito sotto processo. E comunque tanto credibile è risultato che su quel racconto ha poggiato tutta la requisitoria del procuratore generale Antonella Montanaro.
«Inizialmente l’intenzione delle due donne – ha sostenuto l’accusa – non è quella di uccidere la ragazzina, ma di calmarla. Ma una volta in casa la uccidono, strangolandola in due, con una cintura» che non verrà mai trovata». A quel punto «i tre Misseri svolgono compiti diversi. Sabrina resta in casa con il telefono di Sarah, per ritardare l’arrivo dell’amica Mariangela Spagnoletti con la quale devono andare al mare, mentre Cosima e Michele trascinano il corpo di Sarah nel garage passando attraverso la porta interna. Michele prende Sarah e la carica sulla Fiat Marbella». E va a colpo sicuro, verso quel pozzo che conosce già. L’orrore è compiuto.