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 2015  luglio 28 Martedì calendario

Le piroette del Dragone. Non solo squilibri finanziari, anche il credito privato in Cina ha raggiunto livelli monstre, è passato dal 98% del Pil (2007) al 155% nel 2014. Un’enorme quantità di prestiti che arrivano per lo più dalle banche ombra – ossia un sistema alternativo di concessione che, al di là della Grande Muraglia, vale oltre il 34% del Pil –. E poi c’è la bolla del mattone e quell’esercito di piccoli investitori che hanno puntato tutto sul «Chinese Dream». E ora vivono un incubo

La bolla azionaria è scoppiata. E però, in Cina, gli squilibri finanziari non si fermano alla Borsa di Shanghai. Il credito privato, spinto dal sistema bancario ombra, ha ormai proporzioni «monstre». Lo stesso mercato immobiliare agita il sonno ai più.
 La dinamica del mondo dei listini, tuttavia, è la più appariscente. Così, può partirsi da lì per capire le «piroette» del Dragone.
Il «Chinese dream» a debito 
Dopo il crollo della Borsa di Shanghai dell’8 luglio (-5,9%) Pechino era intervenuta. Ad esempio, attraverso il sostegno delle azioni con la liquidità di agenzie para-statali come China Securities Finance. Mosse che, da una parte, hanno suscitano polemiche. Ma, dall’altra, si sperava potessero stoppare la valanga. Il che non è stato. Ieri c’è stato il nuovo tonfo. Perchè? A ben vedere il calo dei listini, avviato a metà giugno, va a braccetto con il tracollo dei prestiti per finanziare gli acquisti di azioni. Cioè: la bolla è stata gonfiata anche, soprattutto, dalle compravendite realizzate con denaro preso a debito e garantito con le stesse azioni (oppure depositi). Un’attività – come ricordano Alessia Amighini e Andrea Goldstein – prociclica. Fino a quando tutto va bene, l’aumentare del valore dei titoli in possesso spinge ad altri acquisti. Quando, invece, il vento gira si è costretti a vendere. In particolare, perchè chi presta soldi pretende che il rapporto tra il valore del suo credito e quello dei titoli a garanzia non scenda sotto un certo livello. Ebbene, questo è proprio quello che è successo in quel di Shanghai. Si dirà: il meccanismo indicato è presente in tutte le Borse del mondo. Vero! Tuttavia deve ricordarsi che il governo cinese, anche per distogliere l’attenzione dal rallentamento economico e dagli squilibri socio-economici, ha incoraggiato la «creazione» di un esercito di piccoli investitori. Circa 90 milioni di trader che, grazie alle agevolazioni sui prestiti, hanno puntato sul «Chinese dream». Il quale, non appena i prezzi di alcune grandi aziende statali (in scia ai minori profitti), hanno iniziato a scendere si è trasformato in un incubo. Con il classico effetto valanga. 
Indebitamento delle imprese 
Ma non è solamente il trading delle famiglie cinesi e la deregolamentazione voluta da Pechino. Altri fattori preoccupano. La precedente esuberanza, e il «panic selling» di ieri, sono infatti l’indizio di un altro squilibrio economico-finanziario: l’enorme debito privato. Oltre la Grande Muraglia l’indebitamento pubblico è basso (il 19% del Pil) mentre quello delle imprese ha raggiunto livelli «monstre». È passato dal 98% del Prodotto interno lordo (2007) al 155% nel 2014. Un balzo notevole e rischioso come, peraltro, i primi default aziendali del maggio scorso hanno segnalato. 
Si tratta di un’ingente quantità di prestiti che, a ben vedere, spesso non arriva dal tradizionale canale bancario. Bensì, dal cosiddetto «shadow banking». Cioè: un sistema alternativo di «concessione» dei prestiti che, al di là della Grande Muraglia, vale oltre il 34% del Pil; e che, seppure non sia tutto da valutare negativamente, costituisce un fattore di possibile instabilità. 
Le banche ombra 
Un esempio? Lo fornisce il cosiddetto «commodity based financing», molto diffuso in Cina. «Il meccanismo – spiega Antonio Cesarano di Mps capital services – prevede che un intermediario sottoscriva un contratto per acquistare delle commodity. Il documento, dapprima, gli permette di andare da una banca per farsi prestare i denari che serviranno a pagare le materie prime». Ma non solo. L’intermediario, infatti, successivamente può chiedere ad un silos, dove arriverà la materia prima, un documento che attesti l’occupazione dello spazio. «In tal modo può tornare dalla banca stessa e farsi anticipare parte del prestito previsto per l’acquisto. Denaro che», ecco il sistema bancario ombra, «sfrutterà per finanziarie società ad alta crescita». Aziende “rischiose” «che non avrebbero potuto chiedere i denari alla banca tradizionale». Ebbene: un simile meccanismo, soprattutto nell’attuale contesto di calo dei prezzi delle commodity, giocoforza può creare diversi problemi. 
La bolla del mattone 
Così come diverse preoccupazioni lo dà il mercato immobiliare. Certo, il Paese del Dragone è immenso. Le differenze tra aree più industrializzate e agricole sono notevoli. Quindi generalizzare nel real estate è difficile. Ciò detto, anche su questo fronte gli indizi parlano di un settore instabile. Secondo Credit Suisse, da un lato, l’avvio di nuove costruzioni supera del 12% le vendite; e dall’altro il tasso di invenduto viaggia tra il 15 e il 23%. Non solo. Il valore dell’immobiliare in percentuale al Pil è, attualmente, oltre tre volte quello massimo raggiunto negli Stati Uniti. Insomma, il rischio della bolla sul mattone non è fantascienza. 
Più consumi interni 
Già, fantascienza. Fino a non molto tempo fa i tassi di crescita di Pechino, rispetto a quelli dell’Occidente, erano di un’altra «galassia». Di recente però, seppure rimasto «lunare», il Pil va rallentando. La scommessa del governo è di trasformare la Cina in un’economia dove i consumi interni facciano da traino. L’import di materie prime dovrebbe diminuire a favore di altri beni di consumo. Il passaggio però, lo mostrano gli eventi di questi giorni, è difficile e rischioso.