Libero, 24 luglio 2015
Ritratto (molto critico) di Franco Gabrielli, il prefetto di Roma specializzato nel prendersi i meriti altrui. Viareggino e Dc di sinistra, viso pulito, è passato dal Sisde alla Protezione civile
La figura dinoccolata di Franco Gabrielli, più giovane dei suoi 55 anni, ci è diventata familiare con l’indimenticabile ripescaggio della Costa Concordia. Il viso pulito da brava persona dell’attuale prefetto di Roma ci piacque per la mite determinazione con cui assolveva l’incarico. Ripeteva: «Se fallisce il recupero, io solo sarò responsabile». Uno che ci mette la faccia, lo elogiarono i giornali. La vicenda poi si concluse con un successo mondiale di cui Gabrielli fu l’eroe popolare.
Difficile oggi riconoscere quell’uomo nello stizzoso prefetto che nei giorni scorsi ha spinto i poliziotti a picchiare i romani di Casale San Nicola inviperiti per l’arrivo di immigrati. Lungi dal pentirsene, il nostro Franco ha teorizzato la sua posizione in diverse dichiarazioni. «Se si lascia che sia la gente a decidere, allora è finita», ha detto esaltando la linea dura. Se ne deduce che ritiene legittimo incuneare centinaia di sconosciuti, di botto e tutti insieme, tra residenti che si erano amalgamati nei decenni. Neppure una buona parola per i poveri cristi arrabbiati che difendevano, coi loro beni, la propria tranquillità. Anzi, ha avuto l’impudenza – assai poco prefettizia- di considerarli «razzisti». In un giorno, è diventato il simbolo perfetto dello Stato nemico, pronto un domani a requisire alloggi ai proprietari per tenere botta alla dissennata immigrazione. Così, ha perso il credito acquisito all’Isola del Giglio, mostrando però il suo vero volto.
Voi direte: Gabrielli non è altro che un prefetto e deve obbedire agli ordini. Quelli dell’ineffabile ministro dell’Interno, Angelino Alfano, e di Matteo Renzi che sugli immigrati è nel pallone. Se rispondesse solo a se stesso -aggiungerete-, il prefetto sarebbe forse più conciliante.
LA CARRIERA
Vediamo allora chi è Gabrielli. Di formazione è dc di sinistra, con una mentalità a mezza strada tra Rosy Bindi ed Enrico Letta. Dare del «razzista» a chi non la pensa come lui è, dunque, nelle sue corde. Toscano di Viareggio, è stato segretario di sezione a Massa Carrara legandosi a due astri nascenti della sinistra democristiana, il demitiano Renzo Lusetti ed Enrico Letta, pupillo di Nino Andreatta. In seguito, furono i suoi santi protettori. Strano perciò che la Repubblica, che con il prefetto ha un comune sentire, descriva Gabrielli come un non frequentatore «dei sottoscala della politica». Se intende dire che non si accontenta del sottobosco di Palazzo, perfettamente d’accordo, se suggerisce invece l’idea dell’apoliticità di Gabrielli, disinforma.
Laureato in Legge, Franco tentò due volte di entrare in magistratura ma non superò il concorso. Ripiegando, divenne poliziotto. Entrato nella Digos e trasferito a Roma ebbe nel 2003 un grosso successo: l’arresto della br, Nadia Lioce, e la cattura dell’intera banda. Sull’impresa, stese una relazione di grande bellezza letteraria, con squarci cinematografici dei momenti più intensi dell’acciuffamento, che incantò, Giuseppe Pisanu, l’allora titolare degli Interni nel governo Berlusconi. Compiaciuto che il bravo funzionario provenisse come lui dalle file Dc, il ministro lo promosse. Fu la sola promozione accordata per quel memorabile blitz. Franco – raccontano i suoi colleghi che, anche per questo, non l’hanno in simpatia – prese i galloni senza aprire bocca sul contributo di collaboratori con meriti anche più grandi dei suoi. Il più danneggiato – dicono – fu il collega Lamberto Giannini che avrebbe dato, tra l’altro, più che una mano nella fascinosa relazione. Questo egotismo gabriellesco si ripresenterà, come vedremo, anche nel caso Costa Concordia.
L’avvento del governo Prodi (2006-2008) rappresentò per Franco l’occasione d’oro che aspettava. Era un gabinetto di sinistra, quindi amico (ma se l’era cavata bene anche con il Cav, e se la passerà altrettanto bene quando Berlusconi tornerà a Palazzo Chigi), e per di più Enrico Letta era sottosegretario alla Presidenza. Gabrielli corse a chiedergli un bel posto e fu fatto capo del Sisde. Vi restò sedici mesi, smantellando, chissà perché, la rete del predecessore, il celebre generale dei Cc, Mario Mori. Stando agli addetti ai lavori, fu un’idiozia. Inoltre, suscitò diffidenze perché non si capì a che gioco giocava. Tant’è che tornato il Cav a Palazzo Chigi, Gabrielli fu defenestrato il giorno stesso dell’insediamento (15 giugno 2008). La sera prima, tre di Fi – Fabrizio Cicchitto, Maurizio Sacconi, Alfredo Mantovano – andarono dal Cav a dirgli: «Noi con questo, non ci sentiamo garantiti. Dagli il benservito». Della bisogna fu incaricato il povero e paziente Gianni Letta, che aveva sostituito il nipote Enrico nel posto di sottosegretario alla Presidenza. Letta chiese a Gabrielli dimissioni immediate. Ma quello rifiutò. Lo zio allora, con la morte nel cuore sapendolo beniamino del nipote, pronunciò la frase più forte della su vita: «Lei è destituito».
Per dieci mesi, Franco – appena quarantottenne e senza prospettive – errò con la barba sfatta. Aveva un’unica speranza: che Enrico Letta gli trovasse un buco. Ci riuscì – raccontano -, lavorando ai fianchi Antonio Manganelli, l’allora capo della Polizia. Manganelli era bendisposto verso Gabrielli con il quale aveva scritto nel 2007, “Investigare”, manuale di successo per piedi piatti. C’era solo da aspettare l’occasione buona. La fortuna per Franco, assunse le vesti della tragedia: il terremoto dell’Aquila. Poche ore dopo il sisma (6 aprile 2009), su input di Manganelli, il Cav nominò Gabrielli prefetto della città devastata. Cominciò allora la collaborazione con l’onnipotente capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, detto San Guido. Costui, uomo soggetto a cotte, ne prese una per Franco e, quando l’anno successivo lasciò l’incarico, lo impose come proprio successore.
COSTA CONCORDIA
Da capo della Protezione civile, Gabrielli fu come al Sisde: un disarticolatore. Ridusse il ruolo della struttura nazionale, che con San Guido aveva preso il volo, delegando ai nuclei d’intervento locali. Il meccanismo si burocratizzò e l’aura mitica e paramilitare data da Bertolaso in golfetto blu scomparve. Lo zenit di quella esperienza fu, come sappiamo, il recupero del transatlantico reclinato sull’Isola del Giglio. Anche qui, come col collega Giannini del Sisde, Franco trascurò chi aveva più meriti di lui. Quando il premier Letta fece una festa per celebrare il rigalleggiamento della Costa Concordia, Gabrielli ne fu l’unico protagonista. Assente invece il sudafricano, Nick Sloane, il vero artefice del successo che aveva ideato il sistema per liberare la nave dagli scogli. Piccole miserie che i critici di Franco giudicano però gravi in chi, come lui, deve tutto al gioco di squadra.
Una furbata, infine, è considerata la sua recente relazione al governo sul Comune di Roma e Mafia capitale. Con essa, contraddicendo il precedente prefetto (Giuseppe Pecoraro), Gabrielli assolve all’ingrosso il sindaco di sinistra Ignazio Marino e incolpa del peggio lo sprovveduto ex sindaco di destra, Gianni Alemanno. Una pezza a colore per oliare la carriera.